
C’era una volta l’impermeabile. Allegri, da brand d’eccellenza fino alla fuga dall’Italia. La nuova proprietà in Oriente
Nel panorama delle aziende dell’abbigliamento della nostra zona c’è stata a lungo un’impresa empolese, che possiamo definire gloriosa e che è divenuta un marchio importante nel dorato mondo della moda. Salvo poi imboccare una strada in discesa quando la famiglia che aveva fatto nascere lo stabilimento passò il testimone a una multinazionale coreana. E oggi abiti e impermeabili, che non vengono più fabbricati in Italia, sono venduti in una serie di negozi monomarca in Corea e in Cina. Praticamente, l’eutanasia di un marchio, che nel trasferimento in Asia ha perso la sua anima. Parliamo dell’industria di confezioni Allegri, nata nel 1954 a Empoli per mano di due fratelli. Allegro e Renato Allegri, che decisero di entrare in un settore che stava registrando alti livelli di crescita in città, sull’onda di un capo di abbigliamento che sarebbe diventato il biglietto da visita, se non una ragion d’essere, per l’azienda: sua maestà l’impermeabile.
Una condizione che fece la fortuna di tante altre confezioni dell’area, quando la ricchezza di Empoli si misurava con il numero di ciminiere, sinonimo di presenza di vetrerie, e con il rumore ovattato delle macchine da cucire di imprese che allora si trovavano inserite organicamente nel centro abitato, come oggi, per molti aspetti, le aziende dei cinesi. La moda, diciamo così, dei capannoni e delle aree industriali sarebbe arrivata dopo. L’azienda crebbe e qualche anno dopo la nascita si pose il problema di cambiare la sede, diventata piccola, che si trovava in piazza San Rocco (per gli empolesi doc in Borgo).
I due fratelli colsero l’opportunità rappresentata dal fatto che l’altra riva dell’Arno, quella di Vinci, era stata dichiarata zona depressa, una di quelle aree in cui insediare un’impresa diventava decisamente più interessate per quel che riguarda il risparmio sui costi grazie alle provvidenze statali. Gli Allegri costruirono una sede a due passi dal ponte sull’Arno che collega il centro di Empoli con le frazioni vinciane situate lungo l’Arno. Anni dopo la famiglia spostò la sede, con spazi più ampi, a circa un chilometro di distanza, nella frazione di Spicchio.
Man mano che il tempo passava il settore della moda cresceva non soltanto in termini di produzione e di posti di lavoro ma anche a livello socio-culturale. Non ci si vestiva più solo per ripararsi dal freddo, per così dire, quanto per affermare un ruolo sociale e culturale, che significava per gli addetti ai lavori un’elaborazione costante di proposte per cogliere quello che si stava muovendo nella società: erano arrivati gli stilisti, che mettevano insieme la tradizione sartoriale e la produzione di abbigliamento di qualità in modo industriale, a cui si univa un tocco d’artista.
Non è un caso se Allegri realizzava i capi per conto di Armani. Pur mantenendo, certo, una produzione a marchio proprio che aveva negli impermeabili un punto fermo. Poi arrivò l’ingaggio diretto di stilisti, come il duo Viktor & Rolf. Nell’impresa, intanto, era arrivata da tempo la seconda generazione: Augusto e Dianora e il cugino Pietro. Con loro l’azienda raggiunge il suo massimo fulgore, diventando un partecipante abituale di Pitti Uomo e di altre manifestazioni espositive della moda. Anni dopo, e siamo a una decina di anni fa, la famiglia decise di lasciare il bastone del comando, cedendo l’impresa a una società milanese che era della multinazionale coreana Lg. Per tratteggiare quel periodo è interessante sentire Silvia Mozzorecchi allora responsabile di zona della Filctem-Cgil, che con i nuovi manager coreani ebbe occasione di confrontarsi.
"La famiglia – ricorda la sindacalista – aveva lasciato un’impresa che aveva circa 200 dipendenti. Nei primi tempi i coreani mostrarono molto interesse per l’azienda e per le sue potenzialità, ma poi cominciarono i tagli all’occupazione finché, nel 2015, si arrivò alla richiesta di mobilità per 61 lavoratori. Io penso che i nuovi proprietari non abbiano capito fino in fondo cosa avevano in mano: non puntarono con determinazione su marchio e stilisti. E persero anche la commessa di Armani". Forse ‘re Giorgio’ aveva capito che il vento era cambiato. "Poi – riprende Mozzorecchi – l’attività fu portata a Milano, con chiusura dello stabilimento e dell’outlet che era stato aperto in un fabbricato attiguo all’impresa vinciana". Infine, pochi anni dopo, l’addio anche a Milano e poi la nuova vita in salsa orientale.