
Rolla Arrostiti è tra i montelupini deportati nei campi di concentramento
L’8 marzo 1944 centodieci cittadini empolesi e dei comuni limitrofi furono deportati in Germania e soltanto quindici di loro fecero ritorno a casa. A 81 anni di distanza, domani si tengono le celebrazioni per questo anniversario, che quest’anno si arricchiscono di una mostra che sarà inaugurata alle 16 nei locali della Casa della Memoria di Empoli. Il titolo dell’esposizione, che sarà visitabile per tutto marzo il lunedì e mercoledì dalle 16 alle 19, è "Lavoro forzato nel passato e nel presente, esempi dall’Austria, dall’Italia e dalla Polonia". La mostra è il risultato di un progetto finanziato dall’Unione Europea e durato tre anni, al quale hanno partecipato componenti della sezione Aned dell’Empolese-Valdelsa, gli alunni del liceo Il Pontormo di Empoli, i partner austriaci con capofila la regione consapevole di Mauthausen-Gusen-St. Georgen, una scuola superiore di Linz e ragazzi provenienti dal distretto polacco di Wlodawa.
Nell’ambito del progetto, quindici studenti delle classi quarte del liceo Il Pontormo sono stati protagonisti di un viaggio studio a Linz, durante il quale si sono confrontati con i coetanei austriaci e polacchi sulla realtà del lavoro dentro e fuori i campi di concentramento. "L’argomento del progetto è stato il lavoro forzato, non solo nei campi di concentramento, ma anche al di fuori di essi – spiega la responsabile per l’Italia del progetto, Claudia Heimes –. Un tema alquanto ampio e complesso e il nostro intento con questa mostra non è solo quello di far conoscere quello che è successo e provocare una reazione, ma anche quello di far riflettere soprattutto i giovani su un tema che è tutt’ora molto delicato".
Il tema, infatti, è stato declinato non solo al passato ma anche volgendo lo sguardo ai fenomeni attuali dello sfruttamento. "La mostra è concepita come itinerante e può essere presa in prestito da scuole, enti e associazioni facendo richiesta alla sezione Aned dell’Empolese-Valdelsa – prosegue Heimes – perché consta di sette pannelli montati su un supporto triangolare, sulle cui ventuno facciate appaiono foto storiche e testo divulgativo, oltre ad un QRCode che inquadrandolo darà accesso ad una serie di testimonianze dirette, diciotto per quanto riguarda la parte storica ed altre per ciò che concerne l’attualità lavorativa in Europa, con alcuni esempi di sfruttamento". Tra le testimonianze storiche figurano anche quelle del montelupino Aldo Rovai, dell’empolese Mario Taddei e del vinciano Licio Baldacci.
"Io fui assegnato, insieme ai miei due amici empolesi e ad altre quattro persone, al reparto dove venivano costruite varie parti dei ’V1’, arma di rappresaglia – racconta Mario Taddei in una delle testimonianze audio –. In questo reparto rimasi per una settimana, poi siccome in questo lavoro non raggiungevo il minimo della quota stabilita non riuscendo a lavorare per dodici ore consecutive con lo scalpello ed un martello che pesava tre chili, fui trasferito alla fonderia". Dell’esperienza di Licio Baldacci, invece, la voce del figlio racconta: "La miniera era una piccola cittadina con infinite gallerie collegate da binari sui quali scorrevano numerosi carrelli-raccoglitori e i prigionieri altro non sembravano che piccole formiche divise per gruppi all’opera". Infine, questo è uno stralcio che si può ascoltare dall’audio relativo a Taddei: "Quelli che lavoravano alle cave rappresentavano un materiale sostituibile..., quando si tornava dal lavoro c’erano duecento trecento morti per volta, insomma quelli li rimpiazzavano bene".
Simone Cioni