
di Bruno Berti
Il concilio di Empoli (ma anche congresso, convenzione e dieta, a scelta) sulla sorte di Firenze si svolse nella nostra città, in quello che oggi è il Palazzo Ghibellino di piazza Farinata degli Uberti, come attestato anche da Dante (di cui ricorrono i 7 secoli dalla morte) nella sua Divina Commedia, nell’Inferno per la precisione. Era il lontano 1260, e la discussione sul futuro di pezzi importanti della Toscana avvenne dopo la sconfitta dei guelfi (seguaci del papa) da parte dei ghibellini (quelli del partito dell’imperatore) a Montaperti, nei pressi di Castelnuovo Berardenga, il 4 settembre.
Il tempo era quello delle lotte tra il potere temporale, l’impero, e quello religioso, il papato, anche nelle nostre terre, caratterizzate dalla presenza di comuni autonomi che avevano una potenza che andava al di là degli armigeri che potevano mettere in campo. Il dominio in questione era quello della finanza, visto che Firenze e Siena, i ‘campioni’ di guelfi e ghibellini rispettivamente avevano in un pezzo importante dell’Europa, il centro del mondo per l’Occidente, un ruolo che metteva insieme il peso degli odierni dollaro ed euro. Le guerre si facevano prevalentemente con i soldi prestati dai banchieri fiorentini e senesi (la nascita del Monte dei Paschi, un paio di secoli dopo, non è un caso) che erano l’evoluzione, ancora in corso certo, del ceto dei mercanti. Siena, poi, aveva dalla sua anche la via Francigena, visto che i pellegrini che si recavano a Roma, un numero interessante per le casse cittadine, dovevano pagare il pedaggio
Il conflitto tra papato e impero, in questo pezzo di Toscana, era quindi anche una disfida tra le aristocrazie del denaro di Firenze e Siena, con l’aiuto dei comuni delle rispettive fazioni e, nel caso dei senesi, anche delle truppe de luogotenete dell’imperatore Manfredi, cavalieri tedeschi. L’attuale ‘capitale’ della regione era la città in cui c’erano più soldi (una Wall Street del tempo), visto che batteva il fiorino, la moneta più diffusa in quegli anni.
Il concilio si tenne a Empoli, baricentrica tra Firenze e Siena, qualche settimana dopo la disfatta dei guelfi, già cacciati da Firenze, con le case-torri dei capi (piccole fortezze all’interno delle città) distrutte. Nell’odierno palazzo empolese, dunque, arrivarono i maggiorenti ghibellini. Si può pensare a un gruppo di personaggi potenti che, dismessi spadone, cotta di maglia e armatura, entrarono nel grande edificio con vesti sontuose che li facevano subito percepire come vincitori, magari con un pugnale celato tra gli abiti perché al tempo la precauzione era d’obbligo, e presumibilmente, nello stesso spirito, anche con un codazzo di armigeri.
Dopo Montaperti Manfredi, il figlio illegittimo, forse, dell’imperatore Federico II, aveva deciso che Firenze doveva essere distrutta, sicuramente suscitando gli entusiasmi dei senesi. Ma i ghibellini più ‘osservanti’ non avevano fatto i conti con Manente degli Uberti, detto Farinata, uno dei principali capi dei seguaci dell’imperatore a Firenze. Il condottiero si oppose fermamente alla decisione di Manfredi e riuscì a spuntarla, salvando Firenze. Probabilmente apparteneva alla schiatta dei potenti a cui non piace stravincere, ma alla base della sua scelta forse c’era anche la consapevolezza che la distruzione della patria del fiorino avrebbe lasciato un vuoto difficilmente colmabile e che avrebbe creato, in prospettiva, problemi agli stessi vincitori del momento. Sì, perché sei anni dopo i guelfi tornarono a Firenze ed esiliarono la famiglia degli Uberti: Manente intanto era morto nel 1264.
Dante, guelfo della corrente perdente (le divisioni in politica non sono un’invenzione dei giorni nostri) cita il portacolori dei ghibellini nel sesto cerchio dell’Inferno, in cui si trovano gli eretici (era considerato un seguace dell’epicureismo). Compare nel canto decimo in cui ha uno scambio di battute con l’autore, in trasferta agli inferi con la guida, come noto, di Virgilio.
Farinata rivendica quanto fece a Empoli. "Ma fu’ io solo, là dove sofferto fu per ciascuna di tòrre via (distruggere) Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto". Quel "là dove" significa proprio Empoli: il concilio (congresso ecc.) svoltosi nella nostra città era sufficientemente noto ai tempi di Dante senza citare la località. Farinata annuncia al poeta anche il suo esilio e l’impossibilità di rientrare in città. Profezia molto facile, visto che chi scrive era appunto già stato cacciato della sua Firenze. I due, prima, avevano anche discusso delle conseguenze della battaglia avvenuta prima della nascita di Dante (1265), con Farinata che gli chiede perché i fiorentini fossero stati così duri con la sua famiglia. Il poeta risponde citando la crudeltà della battaglia di Montaperti, che colorò di rosso le acque del fiume Arbia.
Il Palazzo Ghibellino di oggi è ampiamente rimaneggiato rispetto a quello dove si riunirono i capi ghibellini a fine settembre del 1260. Di quell’edificio sopravvivono solo pochi metri quadrati di muro. Non molto, ma significativi.