
"Dove hai preso il tuo coltan?". Alzi la mano chi è in grado di rispondere senza esitazione. Se si facesse la conta, è probabile che non ci vorrebbe molto tempo, perché quelli che sanno da dove e soprattuto come viene estratto il metallo nero e radioattivo 50% columbite e 50% tantalite che serve per le batterie dei cellulari non sono molti. A essersi fatta questa domanda e aver trovato una risposta, è stata l’associazione empolese Safari Njema, una quindicina di giovani dai 19 ai 26 anni, che ha deciso di estendere il più possibile la consapevolezza riguardo al costo sociale e umano che ha estrarre il coltan in Congo (il Paese con i giacimenti più estesi al mondo) per utilizzarlo nell’industria elettronica. Un progetto impegnativo, il loro, che il sindaco Brenda Barnini ha voluto presentare personalmente: "L’obiettivo è sollevare l’attenzione della popolazione su un argomento che è molto importante e che solo in apparenza non incide sulla nostra quotidianità, perché il cellulare in mano ce lo abbiamo tutti e tutti i giorni. Ora lo presenteremo alla parlamentare Simona Bonafé, responsabile della revisione del regolamento europeo sulla produzione di batterie per i cellulari".
"Il nostro progetto è nato un anno fa dopo l’omicidio dell’ambasciatore Luca Attanasio in Congo – racconta Bianca Maestrelli, vicepresidente di Safari Njema – Abbiamo approfondito le circostanze di questa morte e scoperto che è avvenuta dove c’è una ’guerra’ per obbligare la popolazione a estrarre il coltan. Una situazione di sfruttamento del lavoro e dei minori, violenza diffusa, uccisioni frequenti. Il coltan è insostituibili per costruire le batterie di cellulari e computer. La Ue ha già un regolamento per i minerali estratti dalle zone in guerra, che sarà rinnovato nel gennaio 2023 ma che così come è fatto è insufficiente per tutelare chi raccoglie il coltan". A minare l’utilità del regolamento, secondo l’associazione Safari Njema, l’essere poco incisivo nell’obbligo di sanzione alle aziende che importano il prezioso metallo senza la dovuta certificazione di eticità della raccolta e il fatto di non chiarire quali sono quelle che rispettano il vincolo della certificazione e quelle che invece importano senza farsi scupoli su come e da chi lo acquistano e poi lo riversano sul mercato europeo per le trasformazioni e l’utilizzo finale. "Il regolamento - aggiunge Maestrelli - è poco chiaro e poco restrittivo e questo crea disparità nei vari stati della Ue. Noi chiediamo con forza che venga cambiato".
"Chiediamo – conclude Maestrelli – che la Ue metta un obbligo per i paesi membri di un tetto minimo di sanzione pecuniaria pari o maggiore al costo medio di una documentazione per le imprese importatrici. E poi chiediamo venga creata una lista in cui siano pubblicati i nomi delle aziende importatrici che si adeguano al regolamento e di quelle che non si adeguano". Per ottenere questo obiettivo sono state organizzate una marcia a tappe da Empoli a Bruxelles che partirà il 29 maggio per sensibilizzare e coinvolgere al massimo la popolazione dei consumatori e poi una petizione da firmare e consegnare al parlamento europeo.
Francesca Cavini