
di Bruno Berti
Dall’orizzonte dell’export del distretto industriale della moda è scomparso il politico che aveva improntato le sue scelte di economia locale, ma globale come conseguenza, sui dazi: il presidente Usa, ex da pochi giorni, Donald Trump. Non sono pochi i settori economici che hanno tirato un bel sospiro di sollievo quando l’aereo presidenziale è decollato per l’ultima volta da Washington alla volta della Florida con a bordo il comandante in capo ancora per una manciata di ore. E tra questi c’è la moda, sia di bassa che media e alta qualità, che vive di esportazioni. E l’Empolese in questo quadro gioca un ruolo importante, con il livello più alto toccato nel 2019 con oltre 2,5 miliardi di export, seguito da un 2020 affondato dal Covid, che farà rimpiangere quella cifra. Tanto per fornire un elemento di confronto e testimoniare il ruolo dell’area, il gigante Amazon sostiene che in Italia la sua attività nel 2019 ha aiutato tante piccole e medie imprese a esportare, per un valore di ‘soli’ 500 milioni di euro.
Gli imprenditori, che hanno come dote anche quella della prudenza, specialmente nei rapporti con la politica e con le scelte internazionali delle grandi potenze, vanno cauti, ma non possono non essere rinfrancati dal cambio della guardia nell’ufficio ovale della Casa Bianca. L’amministratore delegato del calzaturificio Pakerson di Cerreto Guidi (80 dipendenti tra Italia e Serbia e un tasso di export che va oltre il 90% del fatturato), Gabriele Brotini, sostiene che "è presto per dire cosa farà Biden sulle scelte economiche che ci riguardano. Ma per il settore delle calzature l’eliminazione, o la diminuzione, dei dazi non potrebbe che aumentare la competitività dei prodotti che inviamo all’estero. Sono anche convinto che aiuti avere un sisteima di lavoro più equo". Brotini introduce poi un’altra questione, facendo notare che le scarpe, ad esempio, vanno toccate, provate. "Si tratta di prodotti in cui la fisicità conta, un ‘plus’ che l’acquisto on line non può offrire, visto che non si possono né toccare né odorare. Credo di poter dire che, se manca il supporto fisico, non si capiscono tutte la caratteristiche, e soprattuto il fascino di un paio di calzature di alta gamma. Senza contare che, al limite, il problema si pone meno per i vecchi clienti, che sanno cosa acquistano, mentre incide di più sui nuovi, che on line non possono farsi un’idea davvero concreta dell’acquisto".
Anche Marco Landi, presidente di Federmoda Cna nazionale e alla guida dell’associazione nell’Empolese Valdelsa, dice di sperare in un’apertura degli Stati Uniti in tema di dazi, pur non aspettandosi novità fulminee. "Tra le prime dichiarazioni del neo presidente Biden c’è l’invito a comprare americano, per noi un po’ stonato", ma che almeno non è l’annuncio di un inasprimento dei dazi. Bisogna anche sapere che il nuovo inquilino della casa Bianca ha la necessità di parlare agli operai del suo Paese, che non sono più fedeli ai Democratici.
"Chi ha delocalizzato all’estero, adesso – aggoiunge Landi – farà rientrare la produzione a ‘casa’ perché, secondo i calcoli di un economista, con il settore dei servizi non si progredisce, visto che un operaio crea ricchezza quanto tre lavoratori del settore terziario. E poi non dimentichiamoci che la manifattura vuol dire cose concrete, quelle che poi servono a tutti noi. Certo, dobbiamo fare anche i conti con le imitazioni, che il nostro comparto dell’agroalimentare conosce, dolorosamente, molto bene. Basti ricordare che anche in Russia si sono messi a produrre mozzarelle".
Il presidente di Federmoda pensa anche che l’Europa debba gestire con attenzione la complessità dei rapporti economici. "Certo, il mercato è importante ma ci vuole reciprocità nelle relazioni. Se vogliamo, questa dinamica di ampio respiro, globale direi, è la lezione che possiamo trarre dall’epidemia. Ogni Paese non può fare quello che vuole: servono politiche di respiro plurinazionale. Pensiamo tanto per capirci, a un problema globale per definizione, quello del clima, senza contare, scendendo più in basso, a una nuova vita per il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio". Un organismo che ha vissuto tempi migliori e che in questi anni ha assistito al ridimensionamento della globalizzazione.
"E per adeguarci, diciamo così, a quanto predica Biden, noi dovremmo porci il problema di comprare italiano. Perché non mi sembra conveniente smarrire quella caratterizzazione di Paese manifatturiero che negli anni ha fatto la nostra fortuna. Ed è strano che il vantaggio portato dall’industria non si capisca proprio in Italia, smarrendo la consapevolezza di un patrimonio davvero molto importante. Avrà pure un significato se, grazie alle competenze nei territori, in anni di globalizzazione spinta, siamo rimasti in piedi".