Il dramma della dipendenza: "Nelle sale si perde l’idea del tempo. È una spirale di autodistruzione"

La storia di Davide che grazie alla cooperativa Il Cammino ha intrapreso un percorso di ’disintossicazione’. Il racconto: "Il fondo l’ho toccato un paio di anni fa, in una singola giocata ho superato i mille euro".

Il dramma della dipendenza: "Nelle sale si perde l’idea del tempo. È una spirale di autodistruzione"

Il dramma della dipendenza: "Nelle sale si perde l’idea del tempo. È una spirale di autodistruzione"

EMPOLESE VALDELSA

Aveva tutto per essere felice: un buon lavoro, una casa acquistata con tanti sacrifici e una compagna di vita. Ma solo il gioco d’azzardo riusciva a dargli scosse di adrenalina. Scommesse, ma soprattutto slot, apparecchi infernali che sanno prosciugarti oltre che il conto in banca anche l’anima. Svuotato: è così che Davide (nome di fantasia, ndr) si è sentito dopo aver raggiunto il punto più basso della sua ’vita da giocatore’. "Quando l’istituto di credito mi ha rifiutato l’ennesimo prestito è stato come ricevere uno schiaffo. In un barlume di lucidità ho capito che dovevo dire basta. Quel giorno ho chiamato mio padre e mio fratello trovando il coraggio di raccontare tutto. È stato mio fratello a mettermi in contatto con don Armando Zappolini, portavoce della campagna “Mettiamoci in gioco”, che mi ha poi indirizzato verso la cooperativa sociale Il Cammino dove ho trovato Emiliano e Elena che mi stanno aiutando molto. Sono un anno e due mesi che non gioco e non sento l’impulso di farlo, ma non ritengo di esserne del tutto fuori. Di sicuro adesso sto meglio: i soldi che mi ritrovo in tasta ora li spendo per un aperitivo con gli amici".

Quella di Davide è una storia comune a molti ’giocatori dipendenti’. "Il gioco è sempre stato il mio tallone d’Achille. Da adolescente, al bar, con gli amici si facevano le prime scommesse. Un passatempo come un altro, solo che loro hanno avuto sempre un certo controllo, io invece ho rischiato di perderlo completamente. Mi hanno sempre attirato molto le slot. Il fondo l’ho toccato un paio di anni fa: in una singola giocata ho superato i mille euro". Quando l’’investimento’ ritornava sotto forma di vincita, la tentazione era quella di rigiocare subito. "Dentro le sale da gioco si perde la concezione del tempo – spiega Davide – Spesso ritardavo agli appuntamenti perché ero preso dalla giocata. Mi giustificavo raccontando bugie". Al giocatore d’azzardo patologico i soldi non bastano mai. "Quanto potevo giocare? Dipendeva dal mio saldo. Ho chiesto tanti prestiti – confessa Davide – Per fortuna sono sempre riuscito a mantenere il mio lavoro e a tenere in piedi la mia relazione affettiva, anche se alla mia compagna ho nascosto tanto della mia dipendenza. Una sera le confessai che non avevamo più nulla, ma le promisi anche che non sarebbe più successo. Non voglio che soffra ancora, soprattutto adesso che ne sto uscendo. Le dirò tutto appena sarà il momento".

Senza l’aiuto degli educatori della cooperativa Il Cammino, Davide non ce l’avrebbe fatta. "Ho sempre cercato di fermarmi, ma inutilmente. Andavo in sala con i soldi contati, oppure lasciavo il bancomat a casa. Ogni volta però ci ricascavo. Gli incontri con gli educatori mi hanno aiutato ad analizzare la mia situazione, ad arrivare al cure del problema. Ora riesco a guardarmi da fuori e a capire quei comportamenti". Davide oggi è una persona più consapevole. "Ho capito che il banco vince sempre, a prescindere. Giocare non è la soluzione per fare i soldi o per impiegare il proprio tempo. Ero entrato in un’aspirale di autodistruzione. Per almeno due o tre anni, quelli più bui, passavo delle mezze giornate nelle sale da gioco davanti alle slot. Portavo avanti la mia vita, i miei impegni, ma il pensiero era fisso lì". Da un anno a questa parte la qualità della vita di Davide è cambiata. "È decisamente migliorata. Un tempo un prelievo allo sportello bancomat poteva durarmi sette minuti, ora anche una settimana. Di sicuro il tempo e i soldi che ho buttato fino ad oggi non potrò recuperarli, l’unica cosa che posso fare è non buttarne via altri. E questo è il messaggio che mi sento di rivolgere anche a tutti quelle persone che soffrono di questo disturbo. Ora che ho la mente sgombra da quella dipendenza riesco a godermi le cose, anche quelle più semplici. Ripenso all’ultimo week end al mare con gli amici e alle tante risate che ci siamo fatti: questa è la felicità".

Irene Puccioni