di Tommaso Carmignani
Nella provincia di Hatay in Turchia si passa dall’esaltazione alla tragedia nello spazio di un amen. Medici, infermieri e vigili del fuoco arrivati dall’Italia scavano senza sosta sotto le macerie da almeno un paio di giorni. Dentro ci sono corpi straziati e vite spezzate. Esce un sopravvissuto ed è immediatamente festa grande, ma dai meandri di quella che una volta era una casa spunta anche qualcos’altro. E’ una bambina che avrà più o meno 5 anni, è sua figlia e non ce l’ha fatta. "I parenti arrivati dai palazzi vicini ci hanno detto che lì accanto dormiva anche il fratellino, che al momento risulta disperso".
Il dottor Alessandro Coppa è un medico empolese del 118 e fa parte della spedizione italiana al lavoro ad Antiochia. "E’ il mio primo sisma, ma colleghi che hanno lavorato ad Accumoli e ad Amatrice mi dicono che una roba del genere non l’avevano mai vista". Il terremoto che ha squarciato il sud-est della Turchia e il nord della Siria si è già portato via migliaia di persone. Altrettante sono ancora sepolte sotto i palazzi. Il compito delle squadre Usar arrivate dall’Italia, di cui fanno parte anche 8 professionisti toscani, è molto semplice: scavare sotto le macerie e ritrovare quante più vite possibile. Anche una sola conta.
"Ieri - prosegue Coppa – ne abbiamo recuperati due. Un giovane e il padre della bambina. Abbiamo sentito le loro voci, ma da quel momento a quando li abbiamo tirati fuori sono passate dieci ore". L’ospedale più vicino è a sessanta minuti di ambulanza, mancano luce e acqua corrente. Le persone scavano anche a mani nude e quando vedono gli operatori italiani e stranieri li chiamano a gran voce. "Tutti vorrebbero che intervenissimo per salvare i loro amici o parenti. Ci dicono di averli sentiti gridare, che sono lì sotto. Ma noi non sappiamo se sia realmente vero. Lavoriamo ventiquattro ore al giorno e facciamo il possibile". Il possibile si chiama ’Urban search and rescue’ ed è un protocollo nato per migliorare le attività di soccorso sotto le macerie. Le operazioni sono condotte principalmente dai vigili del fuoco, che affrontano le operazioni di soccorso con metodologie e tecniche ben precise. L’obiettivo principale è localizzare ed estricare le vittime entro margini temporali che facilitino il loro trattamento sanitario ed evitino l’insorgere di complicazioni postume o, ancora peggio, il loro decesso. Ed è qui che entrano in campo i medici.
I vigili utilizzano degli equipaggiamenti e delle attrezzature speciali per la ricerca e il soccorso, quali geofoni, robot, termocamere, search-cam, e devono essere inoltre addestrati a fornire immediatamente il supporto vitale di base.
"Sono loro – prosegue Coppa – che ci aprono la strada e fanno in modo che possiamo raggiungere queste persone". A volte si arriva in tempo, altre meno. "Quel che è certo è che le immagini viste in tv spesso non sono veritiere della reale situazione che abbiamo trovato. Possiamo semplicemente dire che tutta la rete di servizi è saltata".
Il supporto dei professionisti empolesi andrà avanti fino a domenica, poi dovrebbero partire altre squadre. Insieme al dottor Coppa c’è anche l’infermiere Ilario Bocchi. "Non esiste più un edificio utilizzabile: quelli che non sono crollati sono inclinati di quaranta o sessanta gradi e sono tutti seriamente danneggiati. Fino a poche ore fa eravamo l’unico team di professionisti presenti qui – spiega – e tenete presente che sotto le macerie ci sono ancora decine e decine di persone. Temiamo un’evoluzione negativa anche dal punto di vista sanitario". Un altro nemico dei soccorritori è il freddo: quando cala la notte si va sotto zero. "Si passa dall’entusiasmo per il ritrovamento di una vita alla disperazione per un corpo esanime. Ma questo è il nostro lavoro e andiamo avanti". Fino all’ultimo sopravvissuto.