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In campo per Castellani. Dopo ottant’anni fra ricordo e dolore: "Vietato dimenticare"

L’onore al bomber deportato sotto la finestra della sua abitazione. Alla commemorazione oltre ad Aned e Anpi anche l’Empoli calcio. Il sindaco Masetti: "Inviamo un messaggio forte alle nuove generazioni".

In campo per Castellani. Dopo ottant’anni fra ricordo e dolore: "Vietato dimenticare"

Aveva sei anni Franco Castellani quando il suo affetto più caro gli fu strappato dalle braccia, per sempre. "Torno tra un po’". Una promessa trasformata in un drammatico "mai più". Da quella finestra, in un appartamento di piazza San Rocco a Fibbiana, 80 anni fa suo padre Carlo fu chiamato, e con l’inganno portato via. Il mondo è cambiato, ma si affaccia ancora dalla stessa finestra Franco, figlio dell’indimenticato bomber dell’Empoli ucciso dalla follia nazista. Ci vive solo, oggi che ha 86 anni in quell’appartamento della frazione montelupina, lo stesso dal quale ha aspettato, invano, il ritorno del padre deportato a Mauthausen e lì morto l’11 agosto del 1944. Ieri, nell’ambito delle celebrazioni dedicate alla Memoria che a Montelupo Fiorentino si snodano per tutto l’arco del mese di marzo, l’Empoli Fc ha ricordato il suo giocatore simbolo, Carlo Castellani, deportato assieme ad altri 20 concittadini di Montelupo nella notte tra il 7 e l’8 marzo 1944 dai nazisti che cercavano il padre David, convinto antifascista. Una delegazione azzurra assieme al Comune di Montelupo si è data appuntamento sotto "la finestra".

Franco Castellani è sceso, si è fatto trovare proprio di fronte a casa, storica abitazione dell’ex attaccante e della sua famiglia. A due passi dalla porta d’ingresso, una pietra d’inciampo in ottone; adagiato accanto, il pallone degli azzurri. Anpi, Aned e Empoli Calcio si sono ritrovati per la deposizione di una corona d’alloro seguita da un minuto di raccoglimento. Franco con emozione ha ripercorso la storia di famiglia e i tempi d’oro prima della deportazione, quelli in cui il padre, giovane promessa del calcio "andava a fare gli allenamenti in carrozza, senza guadagnare niente. Non lo hanno deportato, ma assassinato. Messo sul treno della morte e mai più tornato". E’ super tifoso degli azzurri e osservatore attento, Franco; ogni domenica siede in tribuna nello stadio che lo fa sentire a casa.

Uno stadio (come quello di Montelupo) che porta il suo cognome, in onore del padre Carlo, attaccante che sapeva far gol ma anche uomo di valore. Non si piegò quando carabinieri e repubblichini bussarono alla sua porta cercando il padre David probabilmente perché sapevano della sua posizione antifascista. Carlo partì al posto del babbo che era ammalato e da quella finestra della sua Fibbiana non si è più affacciato. Ma erano in tanti, ieri, a ricordarlo. "La storia del nostro territorio si intreccia con quella del nostro calcio - ha dichiarato il sindaco Paolo Masetti - Onorare la memoria di Carlo significa dare un messaggio fortissimo ai ragazzi che seguono lo sport. E’ un modo per condividere il dolore ancora presente". Basta chiederlo a Franco, che ricorda nel dettaglio quella notte del 7 marzo e la racconta ai bambini delle scuole da anni. "Una vicenda toccante che ci fa capire la crudeltà dei tempi passati - ha commentato il capitano dell’Empoli Sebastiano Luperto - Come squadra siamo vicini a Franco e onorati di partecipare alla commemorazione". Ieri il tempo si è fermato in piazza San Rocco, dove anche la vice presidente e ad dell’Empoli Rebecca Corsi ha ricordato l’importanza del valore della memoria. "Ricordare è una ginnastica, un esercizio che va trasmesso e passato alle giovani generazioni".

Ylenia Cecchetti