Empoli, 16 settembre 2022 - Saranno ascoltati dal magistrato nei prossimi giorni i tre indagati per il caso delle infermiere che sono state spiate sotto la doccia all’ospedale San Giuseppe di Empoli. Il pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Sandro Cutrignelli, sentirà i presunti responsabili ai quali, in base a quanto emerso dalle indagini condotte dai carabinieri della compagnia di Empoli, verrebbero addebitate responsabilità diverse nella vicenda.
Due dei tre soggetti intorno ai quali si è stretto il cerchio appartengono a una ditta esterna che si occupa di dare manutenzioni e che lavora in appalto per l’Asl Toscana centro proprio nel presidio ospedaliero cittadino in viale Boccaccio. Come si ricorderà, i fatti in questione sono venuti alla luce nel maggio scorso, generando stupore e indignazione. Una microcamera era stata piazzata all’interno del box doccia dello spogliatoio femminile che si trova al piano terra del San Giuseppe e che è frequentato da un centinaio di dipendenti Asl, tra infermiere, dottoresse, operatrici socio sanitarie. A fare la scoperta era stata una collega, insospettita da un piccolo foro nella parete della doccia, risultato appunto essere l’ “occhio indiscreto” che spiava le dipendenti dell’Asl mentre, appunto, si lavavano nella doccia.
Il punto di osservazione era stato piazzato dall’altra parte della parete, ovvero nel locale tecnico dove avevano accesso diverse persone, un locale attiguo allo spogliatoio e dove gli inquirenti hanno rinvenuto una sonda da idraulico e un monitor collocato dietro a un attaccapanni, in modo da non essere visibili e non destare sospetti. A seguito delle indagini, che sono avviate ormai alla conclusione, il reato ipotizzato dalla Procura fiorentina è accesso abusivo in un sistema informatico protetto da misure di sicurezza, ovvero che vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo (articolo 615 ter del Codice penale). E’ caduta, invece, l’ipotesi di reato più grave, ovvero quello di “revenge porn“, la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internet senza il consenso dei protagonisti, con finalità di vendetta, estorsione, ricerca di profitto o per annichilire la persona odiata.
In altre parole, gli indagati - già oggetto di perquisizioni personali nei mesi scorsi - non avrebbero diffuso sul web né in chat o gruppi privati, i video registrati dalla piccola telecamera. Non resta dunque che attendere il passo successivo: rinvio a giudizio per gli indagati o archiviazione del caso? Viste le prove a carico dei tre per il reato di accesso abusivo in un sistema informatico sembra difficile che l’inchiesta possa finire in una bolla di sapone.