
di Bruno Berti
Inso, un’impresa di ingegneria che è stata ‘empolese’, ha al suo attivo, tra le altre opere, la costruzione dell’ospedale di Empoli, con il project financing, e del Palazzo di giustizia di Firenze (progettato dall’architetto Ricci). Era nata negli anni ’60 come Divisione Prefabbricati della Nuova Pignone di Firenze, gruppo Eni, per la costruzione di stazioni di rifornimento con l’insegna storica del cane a sei zampe. L’azienda ha vissuto una serie di trasformazioni e di passaggi di proprietà che l’hanno vista transitare alla corte di una delle multinazionali di maggior rilievo, passando per il mondo delle coop dell’edilizia e dei big privati del settore per poi tornare di nuovo sotto quelle che un tempi si sarebbero chiamate partecipazioni statali e che oggi si declinano nel nome della Cassa depositi e prestiti, la Cdp.
Nei vorticosi (per tanti aspetti) anni ’70, passò a interessarsi anche di scuole e di asili. Nello stesso decennio, per la precisione nel 1976, l’impresa diventò una Spa e iniziò a occuparsi degli ospedali. Negli anni ’90, come sappiamo, lo stato come padrone (che da noi era una caratteristica non certo comunista perché a quel comparto dell’economia si erano ‘applicate’ soprattutto le migliori menti della Dc), ammainò la bandiera, per così dire. E così, quello che nel frattempo era diventato un gioiello imprenditoriale, passò sotto le insegne della potente multinazionale Usa General Electric, seguendo la capofila Nuovo Pignone. Qualche anno dopo, nel ’99, l’Inso fu ceduta al Consorzio Etruria, che in quel periodo era già avviato a diventare il punto di riferimento dell’edilizia cooperativa della Lega Coop a livello toscano. La società di ingegneria rientrava a pieno titolo nell’attività di sviluppo imprenditoriale del Consorzio, nato a Empoli e poi trasferito a Villa Salingrosso, nel comune di Montelupo Fiorentino.
Da allora l’impresa, anch’essa a Salingrosso, ha seguito la sorti della capogruppo. Nel 2006 Inso acquisì la Sof, una società di gestione di attività che ben si prestava per lo sviluppo della finanza di progetto, vale a dire quando un’impresa si propone per realizzare un’opera, gestendola per 30 anni, di solito, per poi passare l’edificio all’ente pubblico proprietario. Qualche anno dopo, il Consorzio Etruria, come tante altre grandi imprese edilizie del settore cooperativo (scomparse quasi tutte), non resse alla tempesta finanziaria ed economica. E così il gioiello dell’edilizia ospedaliera fu ceduto a un grande nome dell’edilizia privata, la romana Condotte, con passaggio della sede a Firenze. Ma anche la grande società non stava benissimo e nel 2018 gettò la spugna.
Adesso la parabola di Inso riporta la società, attualmente 450 dipendenti (una cinquantina dei quali dell’Empolese) nell’ambito pubblico, sia pure in forma soft, con l’acquisizione da parte di Fincantieri, di cui la Cdp ha oltre il 70% delle quote. Nel passaggio c’è anche uno spazio per un altro socio pubblico, visto che l’operazione, oltre a Fincantieri, vede in pista la Sici della Regione Toscana. Inso ha attualmente un portafoglio ordini di 1,4 miliardi di euro (un miliardo per la capofila e 400 milioni in quota Sof). Fincantieri è il gigante italiano della cantieristica navale, civile e militare, con 9.500 addetti e un indotto che arriva a 50.000 persone.
L’ex presidente del Consorzio Etruria, l’empolese Riccardo Sani, storico dirigente di Unicoop, ricorda il periodo tumultuoso in cui ha guidato l’azienda di Salingrosso. "Inso era un punto di riferimento per la capacità di operare in un settore importante come quello ospedaliero". E infatti la società progettazione ed esecuzione lavori (tanti ingegneri e relativamente pochi operai) fu la prima a essere ceduta quando le acque divennero burrascose.
Sulla poltrona più alta dell’Inso quando era del Consorzio si è seduto anche l’ingegner Franco Susini, empolese (figlio di Duilio, uno dei creatori di Unicoop) che arrivava anche lui dalla grande coop di consumo: era stato vicepresidente. "Viste le caratteristiche della società, acquistata dal Consorzio quando a dirigerlo era Armando Vanni, la consistenza del personale – dice Susini – dipendeva da dove riuscivamo a ottenere delle commesse o a vincere delle gare". Quindi si può parlare di una struttura direzionale leggera ma di alto livello. "Una parte dei lavori di edilizia sanitaria era infatti all’estero, e da noi era normale avere persone che parlavano correntemente quattro lingue. Fuori Italia siamo arrivati a realizzare il 60% dell’attività. Che è poi la caratteristica che ha salvato l’impresa rendendola appetibile sul mercato".