La cerimonia a Certaldo. Il Premio Boccaccio incorona la speranza

Sul palco i vincitori Augias, Montesano, Servillo e Pegah Moshir Pour. Grandi testimonianze di vita toccanti e profondi spunti di riflessione.

La cerimonia a Certaldo. Il Premio Boccaccio incorona la speranza

Corrado Augias, Giuseppe Montesano e Toni Servillo al “Premio Boccaccio“

di Francesca Cavini

CERTALDO (Firenze)

La speranza come valore universale, capace di illuminare anche le situazioni più buie. Personali o universali che siano. Questo il filo rosso che ha unito i premiati della 43esima edizione del Premio letterario Giovanni Boccaccio, ieri nel teatro intitolato allo scrittore del “Decameron” nel paese che gli ha dato i natali. I vincitori del 2024, Corrado Augias, Pegah Moshir Pour, Giuseppe Montesano e Toni Servillo, premiati rispettivamente nelle sezioni “Giornalismo”, “Etica della comunicazione” e “Letteratura” sono stati accolti sul palco dal presidente della giuria del premio, Walter Veltroni, e da Simona Dei, presidente dell’associazione Giovanni Boccaccio che organizza l’evento. Con loro, i membri della giuria: Antonella Cilento, scrittrice, Marta Morazzoni, scrittrice e Roberto De Ponti, giornalista. L’inviata Rai Stefania Battistini (premiata l’anno scorso col “Boccaccio“) e Veltroni hanno introdotto Pegah Moshir Pour. A Veltroni che le chiede cosa vuol dire essere donne in Iran oggi, risponde: "Ho vissuto in Iran fino a 9 anni e ci sono tornata più volte come turista e l’ultima come mediatrice culturale del comune di Matera. Ora non posso più tornarci, ma spero di poterlo fare un giorno. In un Paese libero. Ho ereditato la rabbia e la gentilezza per poter raccontare le ingiustizie che ci sono per le donne in Iran ma un po’ anche in tutto il mondo. Io sono stata fortunata perché sono viva e attiva in un Paese come l’Italia". "Il velo in Iran - ha chiesto Battistini - è diventato un simbolo da strappare. Quanto del movimento di protesta trova appoggio nel resto della popolazione e quanto c’è speranza che possa portare a una trasformazione della società?". La risposta è sofferta: "Le rivoluzioni sono lente. All’interno del Paese c’è chi sostiene il regime teocratico, ma non è tutta la realtà. Grazie ai social network si riesce a vedere cosa succede nel mondo. Finché tutto questo non sarà riconosciuto a livello mondiale, il processo sarà lento. Il conflitto russo-ucraino ha distolto l’attenzione".

Poi sul palco sale Corrado Augias, che si conferma quello che è: intellettualmente gigantesco. "Corrado - lo incalza Veltroni - hai dimostrato che alla fine quello che conta è il racconto. Abbiamo scelto il tuo libro ‘La vita s’impara’ perché c’è la domanda unica che ti voglio fare: come sono cambiati gli italiani?" "Ho impiegato 250 pagine per rispondere - dice Augias - vediamo se sintetizzo in meno di sei ore. Eravamo un Paese povero, arretrato e distrutto dalla guerra. Però da quell’abisso di distruzione è germinata una fiducia che era più che una speranza che si potesse ricominciare. E si è ricominciato. Tutto bene? No. Perché insieme a questa rinascita è cominciato ciò che il benessere sconsiderato porta con sé, come racconta Fellini nella Dolce Vita. Quella convivenza fra propulsione e decadenza dava al Paese e a noi punti di solidità, ragione per partecipare. Tutto ciò è venuto meno nel 1994, quando sono caduti i grandi partiti che avevano spinto la ricostruzione del Paese". Antonella Cilento ha presentato, infine, Giuseppe Montesano e Toni Servillo, campioni insieme di quella letteratura scritta e interpretata di cui Giovanni Boccaccio è stato l’indiscusso precursore.