CARLO BARONI
Cronaca

La filiera della moda non riparte. E la cassa integrazione sta finendo

Allarme della Cgil: i settori della pelle, dell’abbigliamento e del calzaturiero annaspano nella crisi

La filiera della moda non riparte. E la cassa integrazione sta finendo

La filiera della moda non riparte. E la cassa integrazione sta finendo

FUCECCHIO (Firenze)

I venti dell’inverno hanno soffiato freddi sull’industria della moda. E quelli di primavera, almeno per ora, non sono riusciti a portare un po’ di tepore. Il boom delle vendite nel lusso post-pandemia ha lasciato spazio a un periodo di incertezza che è ancora in corso e dalla durata incerta. Anche la Cina è in frenata e la domanda sembra in calo in tutta la regione asiatica. Strategica per la grandi maison di moda. E di conseguenza per la Toscana fortemente vocata alla moda, con la pelle del distretto di Santa Croce, il calzaturiero che ha importanti punti di riferimento a Fucecchio – uscito da un 2023 difficile che ha visto un ricorso massiccio alla cassa integrazione –, la pelletteria fiorentina e l’abbigliamento di Empoli. Il quadro è complesso.

E la Cgil lancia l’allarme con Loris Mainardi, segretario regionale Filctem Cgil. Perché non ci sono segnali di inversione di tendenza e tante aziende della moda stanno finendo la cassa integrazione. "Non ci sono certezze su come e quando tutta la filiera della moda, fondamentale per la Toscana, vivrà almeno un inizio di ripartenza. Le valutazioni che si susseguono parlano di primi segnali già entro il primo semestre, ma per il momento non si vede niente. Altre indicano dopo. Alcune addirittura rimandano il tutto al 2025 – spiega Mainardi – . Se fossimo davanti a quest’ultimo scenario credo che ci troveremmo ad affrontare una vera e propria emergenza occupazionale, uno stillicidio di aziende e di posti di lavoro. Con tutto quello che comporta, in termini sociali, certo, ma anche di Konw how che perdiamo e che è il nostro autentico patrimonio".

Le cause provengono da diverse direzioni. Il lusso risente di questo grande clima d’incertezza politica, delle guerre e delle tensioni. "Pensiamo, ad esempio, alla produzione della scarpa di lusso, nel quale la nostra Toscana è un’eccellenza: il 20% dell’export era destinato alla Russia – spiega Mainardi –, e le sanzioni come conseguenza della guerra hanno vanificato gran parte di questa quota. La reazione, poi, è catena. Soffre la scarpa e soffre la conceria che produce la pelle, e poi c’è anche la pelletteria che mostra segnali negativi dal maggio scorso". Una congiuntura determinata certo dal difficile scenario internazionale, ma anche dalle condizioni finanziarie restrittive per famiglie e imprese: rimbalzo dei prezzi e inflazione. Calzaturiero e conciario hanno chiuso il 2023 con l’export in calo a doppia cifra. E anche il mercato interno ha manifestato contrazioni. Il conciario è arrivato al rinnovo del contratto di lavoro. Il calzaturiero no. "Le trattative sono in corso – conclude Mainardi –. Il contratto è scaduto a dicembre. Abbiamo varato la piattaforma del tessile, che per la moda è fondamentale". Ma è la crisi a preoccupare di più.