BRUNO BERTI
Cronaca

La moda e la crisi del lusso. Commesse vuote e timori: "Crescita solo a fine 2025"

Anche le grandi firme sono coinvolte nella flessione. Ma con alcune eccezioni. Azzura Morelli (Pellemoda): "Ora un confronto serio sul futuro del settore".

La moda è diventata il malato dell’economia locale: una condizione che crea non pochi problemi all’economia dell’area, poiché il settore è di gran lunga uno dei comparti di rilievo dell’attività manifatturiera, la produzione di beni, della nostra zona. Si parla, tanto per capirsi di un’attività che impiega circa 10.000 addetti, indotto compreso, che sono una parte essenziale anche nella battaglia che ha in palio quote di export, senza le quali le nostre imprese non avrebbero il ruolo trainante che vantano a livello locale, e non solo.

Le crisi non avvengono mai a caso, anche se non è facile, all’inizio, stabilire dove stanno i problemi, anche perché le difficoltà non si presentano in modo uniforme e, soprattutto, in tempi e modi diversi. Intanto, c’è da fare i conti con una crisi del lusso, certo a macchia di leopardo (non tutte le grandi firme del settore sono coinvolte), ma che crea pesanti vuoti nelle commesse dei grandi gruppi alle nostre aziende, mettendo a dura prova la capacità di resistenza. Perché nel quadro va messa pure la difficoltà nel far fronte ai guai delle imprese di minori dimensioni perché per loro, detto in soldoni, la cassa integrazione è meno estesa di quanto non accada per le aziende più grandi. E la struttura portante dell’economia della moda è fatta di imprese minori che lavorano per le grandi griffe. Allora, per far fronte alla situazione, ben vengano anche iniziative come quella dell’Onu (e non è certo poco) che ha individuato in Villa Petriolo, a Cerreto Guidi, la sede dell’Hub per la moda e gli stili di vita che punta anche a diventare il centro dimostrativo e divulgativo delle buone pratiche di sostenibilità nei settori della moda e del turismo. La pensa così anche Azzurra Morelli dell’azienda empolese Pellemoda, vicepresidente della sezione moda di Confindustria Toscana Centro e Costa.

"Se da un lato la nostra regione è la culla del fashion – sottolinea Morelli -, c’è anche bisogno di confrontarsi seriamente sul futuro dell’attività", che spesso va di pari passo con il turismo, che porta clienti. "C’è pure lo stimolo a collaborazioni anche a livello locale nel segno della stabilità. Dobbiamo poi sapere che la crisi della moda non è generale, perché le conseguenze sui big del settore non sono sempre le stesse. Ci sono anche marchi che continuano a far registrare buoni risultati".

Il peso della crisi viene però pagato da molte aziende. C’è quindi una riduzione di volumi di produzione per effetto dei gravi problemi che molte, troppe, nazioni attraversano. Non ultimi quelli che vedono un mercato asiatico in affanno, mentre molti altri Paesi in buona misura devono fare i conti con le conseguenze tragicamente concrete delle guerre e con il clima di incertezza per il futuro che attanaglia tante nazioni, anche non coinvolte direttamente negli eventi bellici. "C’è inoltre da considerare – aggiunge Morelli – che ormai la crescita impetuosa post Covid è dimenticata. Se vogliamo fare un’ipotesi sul possibile riavvio soddisfacente delle attività, si può dire che la crescita potrebbe tornare verso la fine del 2025. Se questo è il quadro, bisogna porsi il problema di come le piccole e medie imprese possano arrivarci".

Su questo l’imprenditrice pensa che sia necessario "un impegno comune di istituzioni, privati e organizzazioni sindacali per sostenere le aziende minori con l’obiettivo di garantire le competenze (know how) e di poter contare su livelli di formazione adeguati alle necessità di oggi". La moda è un settore femminile per eccellenza (se si trascurano i laboratori cinesi dove la maggioranza della manodopera è spesso maschile), per cui sapere com’è messo il potere rosa nel comparto non è ininfluente. "I posti di potere occupati da dirigenti donne nelle imprese della nostra zona – dice Morelli – non sono poi molti" ma la considerazione, ovviamente, non vale per Pellemoda, o per imprese come quella della stilista Theodossia Tziveli, anch’essa dirigente di Confindustria. Sul lato della parità salariale la questione della presenza delle donne anche a livelli più alti è molto più equilibrata, perché buona parte della manodopera è femminile e ciò si riverbera anche sui quadri intermedi.