La moda nella tempesta. Le richieste di ’cassa’ aumentano ogni giorno: "Intervenire subito"

Il responsabile di zona della Filctem-Cgil, Sergio Luschi: "Sono i calzaturifici a soffrire di più. Già adesso sono a rischio centinaia di posti di lavoro" .

La moda nella tempesta. Le richieste di ’cassa’ aumentano ogni giorno: "Intervenire subito"

Il responsabile di zona della Filctem-Cgil, Sergio Luschi: "Sono i calzaturifici a soffrire di più. Già adesso sono a rischio centinaia di posti di lavoro" .

Per farsi un’idea del periodo che sta passando il mondo della moda locale, basta guardare la pila di richieste di cassa integrazione ammassate su una sedia accostata a una scrivania negli uffici della Filctem-Cgil, il sindacato dell’abbigliamento e del tessile. I fogli impilati hanno un’altezza di circa 40 centimetri. In quelle carte c’è la dura realtà che stanno vivendo molte aziende, e soprattutto quella dei primi interessati, i lavoratori. Il responsabile di zona della Filctem-Cgil, Sergio Luschi, ci spiega che le domande riguardano i vari settori del sistema moda, vale a dire anche calzaturifici, oltre all’abbigliamento. "Al momento sono proprio i calzaturifici a soffrire di più. Naturalmente parliamo di un quadro, per quanto riguarda i vari settori, formato da una maggioranza di imprese di piccole dimensioni, artigianali, che stanno sopportando i colpi peggiori della crisi, e di un numero più piccolo di imprese strutturate". Con quella pila si fa presto ad arrivare a numeri elevati per quel che riguarda gli addetti interessati. Luschi sfoglia un po’ di domande e con le prime cinque si arriva già a cento lavoratori. In pratica, su quella sedia c’è un futuro problematico per qualche centinaio di dipendenti. Non c’è un numero preciso perché il quadro cambia più volte nell’arco della giornata. "Infatti, ogni giorno ci arrivano almeno 6 O 7 richieste di ‘cassa’, e non si può dire che la tempesta sia passata".

La convinzione è piuttosto che l’uragano sia ancora in corso e non se ne veda la fine, a meno di provvedimenti concreti e celeri da parte del governo. Certo, al fondo ci sono le difficoltà di mercati depressi e di consumatori molto meno inclini a spendere, oltre ai problemi di un mercato di sbocco come la Cina, ma la questione si affronta comprendendo il ruolo della manifattura per l’economia del nostro Paese. Anche perché, come fa notare il sindacalista, la cassa integrazione, già problematica di suo perché significa un taglio alla retribuzione, ha anche scadenze ben precise, che per l’artigianato sono un tema molto serio quando le crisi hanno durate non brevi. "Il ricorso al Fsba (Fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato) dura 26 settimane nell’arco di due anni, mentre invece per le imprese del settore industriale, dove a intervenire è l’Inps, le settimane sono 52, sempre nell’arco di due anni, o anno mobile come si dovrebbe dire". E quando il tetto è stato raggiunto, o si tengono a casa i lavoratori o si licenzia. A questo punto Luschi mette in gioco due dei sempreverdi delle questioni economiche in caso di crisi, e come tali ben motivati: la mancanza di una seria politica industriale e, dal punto di vita degli ammortizzatori sociali, com’è la ‘cassa’, il rifinanziamento delle risorse per far fronte a crisi non passeggere.

"Se guardiamo al livello nazionale – spiega Luschi -, vediamo che a soffrire, oltre al nostro settore, ce n’è anche un altro di quelli che fanno la differenza ai fini della buona salute della manifattura: vale a dire la metalmeccanica, che significa, ad esempio, le imprese che lavorano per il comparto dell’auto, che da tempo sta mostrando la corda". Il sindacalista lancia quindi un allarme per due settori che pesano molto all’interno del manifatturiero e che significano anche il posto di lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori a livello nazionale. "Ai tavoli in cui si discute del futuro della moda, per fare un esempio, non ci si può comportare come se questi problemi non ci fossero".

Bruno Berti