SAMANTA PANELLI
Cronaca

Mario Tuti: «chiedere perdono? Sarebbe un oltraggio ai morti»

«E la cerimonia per Falco e Ceravolo sembra una speculazione»

Mario Tuti in una foto presa dal suo profilo Facebook

Empoli, 27 gennaio 2016 - «POSSO comprendere il dolore di chi ha subito un lutto. Ma le commemorazioni 41 anni dopo i fatti, anche se forse non ho il diritto di dirlo, mi sembrano uno speculare». Mario Tuti, 70 anni a dicembre, è in pausa, in attesa di riprendere il lavoro nella tipografia che fa capo alla comunità Mondo Nuovo, nella zona di Tarquinia. E’ lì che l’ex Primula nera, oltre a curare grafica e contenuti della rivista Il Faro, si occupa di ragazzi con problemi di tossicodipendenza. Risponde al telefono e detta una sola condizione per l’intervista: guardare al presente. Un oggi che appoggia, tuttavia, su un passato di terrorismo ‘nero’, morte e sangue. Come quello dei poliziotti Falco e Ceravolo.

Cosa rappresenta per lei la data del 24 gennaio? «Quando mi hanno avvertito che una giornalista di Empoli voleva intervistarmi, ho dovuto fare mente locale per capire il motivo. Vivo in un altro tempo, in un’altra esistenza. Il lutto va elaborato, anche se riconosco che ci sono persone che provano per me odio, rancore, senso di giustizia non ottenuta. Ho sofferto abbastanza, se può in qualche modo consolarle».

Nessun contatto con Anna, la figlia di Falco? «No, anche se abbiamo conoscenze in comune. Cosa potrei dire o fare se non incassare le sue parole di attacco: avrebbe questo diritto e lo accetterei. Il perdono? Si dà. Facile dire sono pentito e chiederlo, ma mi sembrerebbe un modo per oltraggiare le vittime. Non me la sento».

Quando è stata l’ultima volta che è tornato a Empoli? «Nel 1993 quando è morta mia mamma Ester. Dopo ci sono passato in treno, andando a Firenze in licenza. Non mi manca, anche se quando sento l’accento...».

Brutti ricordi? «No. Se non avessi avuto l’esperienza del carcere e del dolore, sarei oggi un empolese ricco, stronzo e contento: era questo il carattere dei miei compaesani agli occhi di un mio amico, un giudizio che condivido».

Nessun rimpianto? «Tutto sommato sono contento di essere qui dove non sono ricco, forse neanche tanto stronzo. Nella Comunità Mondo Nuovo ho fatto qualcosa di utile e positivo».

24 gennaio 1975-26 gennaio 2016: chi era e chi è Mario Tuti? «Un vecchio signore ridotto abbastanza male, che trova energia e motivazioni nell’attività svolta dentro la  comunità e nel fine settimana con l’associazione Terre della Farnesiana. Sveglia alle 6, alle 7 fuori dal carcere, poi bus e arrivo in tipografia. Lì ci sono i ragazzi ai quali diamo formazione professionale, responsabilità ed etica del lavoro.

Alle 18 il bus con destinazione Civitavecchia dove il regime di semilibertà le concede di restare fuori fino alle 22... «Capita raramente, di solito alle 19,30 sono dentro. L’età si sente. Ma non sono un’altra persona rispetto agli anni ’70. Sono semmai cambiate le circostanze e il mondo, ma non in meglio»

Si spieghi... «Quarant’anni fa nelle persone c’erano impegno, personalità, idealità. Ora no, la depressione non è economica, è esistenziale».

E’ cambiato anche il terrorismo? «Noi avevamo ideali di lotta armata, i brigatisti avevano un progetto di conquista dello Stato. Niente a che spartire con oggi. Sono esperienze non assimilabili anche se i mezzi sono gli stessi»

Dal 1975 al 2016. Quali le tappe del suo percorso? «La chiave è stato il passaggio dalla libertà alla prigionia. Il carcere è stata l’esperienza di un altro mondo, per certi aspetti più autentico di quello esterno, in cui sono riuscito a inserirmi. E dal quale dopo 20 anni esci solo. Relazioni, famiglia, amicizie: quando varchi quella soglia non ci sono più».

C’è poi il lungometraggio, con il ruolo di Giacomo in Espero... «Me lo ha proposto un anno e mezzo fa e ho accettato. Non sapevo niente di tecnica cinematografica. Recitazione come riflessione? L’esperienza teatrale in carcere a Voghera, sì: una catarsi»

Alla commemorazione di Falco e Ceravolo, c’erano anche gli studenti: un messaggio per loro? «Sulla cerimonia, niente da dire. In generale dico loro che la vita è un bene che vale in relazione a quanto siamo disposti a metterci in gioco. Un esempio banale: 40 anni fa la droga era una scelta autodistruttiva, un po’ come la nostra era una scelta di morte. Oggi i giovani si drogano perché lo fanno tutti. Ecco, questo voglio dire, più che celebrare le morti, valorizzate la vita. E siate voi stessi senza lasciarvi condizionare dalle mode».