
Azzurra Morelli
Empoli, 1 maggio 2020 - Più della necessità di salvare il fatturato, a spingere verso quella decisione era stato soprattutto il senso civico. Raccogliere l’appello del governo e riconvertire l’azienda per la produzione di quel bene che durante le prime settimane di emergenza (ma anche adesso) viene percepito come di primaria necessità: le mascherine. Peccato però che sia stato proprio dall’esecutivo, e dal commissario straordinario all’emergenza Arcuri, ad arrivare quel provvedimento che adesso impedisce ad aziende come Pellemoda di andare avanti nella produzione dei dispositivi di protezione.
Perché la scelta di inserire un tetto a 50 centesimi nel prezzo di vendita delle mascherine mette le imprese italiane che avevano riconvertito la produzione nella scomoda posizione di chi, andando avanti di questo passo, non avrebbe che da rimetterci. Una decisione, quella di fissare il prezzo, che certamente stride con gli accorati appelli che arrivavano ad inizio emergenza, quando la difficoltà nel reperire i Dpi aveva indotto il governo a chiedere con forza che anche le aziende sul territorio nazionale tornassero a produrli.
«Fissare il prezzo a 50 centesimi – spiega Azzurra Morelli, amministratore delegato di Pellemoda assieme al fratello Giampaolo – vuol dire che dal produttore dovrebbero uscire intorno ai 20, il che per un’azienda come la nostra è praticamente impossibile. Le nostre mascherine sono cucite a mano e non stampate attraverso una macchina, a queste condizioni non riusciremmo a coprire nemmeno i costi della manodopera e per questo ci siamo fermati. Noi, purtroppo, non le produrremo più".
Pellemoda, da quando aveva riconvertito l’azienda per la fabbricazione di questi dispositivi, aveva ottenuto l’ok dell’Istituto superiore di sanità e attendeva l’esito positivo di un ultimo test per dare il via alla commercializzazione del prodotto come presidio medico. "La scelta del governo vede vanificati tutti gli sforzi che avevamo fatto per avere questa certificazione. L’operazione che avevamo intrapreso – dice ancora Morelli – era dettata più che altro dal senso civico, visto che quei Dpi a marzo non si trovavano ed i prezzi erano schizzati alle stelle. Avevano chiesto uno sforzo e noi avevamo risposto, poteva essere un modo per mitigare la perdita di fatturato che avremo nel 2020, ma tant’è". Pellemoda ha già realizzato e donato quasi 20mila delle sue mascherine e ne ha un milione pronte in magazzino. Qualcuna servirà per i dipendenti a partire da lunedì, quando riprenderà la loro normale attività, mentre le altre finiranno in un marketplace riservato alle aziende della Camera di Commercio.
«Fino alla scorsa settimana avevamo ordini importanti, ma adesso ci siamo fermati. E dire che i prezzi non sarebbero stati poi tanto più alti di quelli imposti. Per ordini importanti, dalle 10 alle 20mila mascherine, noi le avremmo fatte uscire dalla fabbrica intorno ai 70 centesimi", assicura Morelli. Questo si sarebbe tradotto in un prezzo finale al consumatore intorno a 1,50 euro, o forse anche più basso se di mezzo non fossero stati troppi distributori. "Resta l’amarezza perché nel momento del bisogno, quando ce lo hanno chiesto, molte aziende italiane si sono riconvertite. E poi, dopo aver firmato contratti con la Cina – conclude Morelli – ci hanno dato il benservito". © RIPRODUZIONE RISERVATA