Morì incinta a 42 anni. Arriva la condanna per tre dottoresse: "Finalmente giustizia"

Nel 2018 Barbara Squillace perse la vita nel reparto di ginecologia. Ieri la sentenza: secondo il giudice venne sbagliata la diagnosi. Il marito Marco: "Stavamo iniziando a perdere la speranza..."

Barbara Squillace con il marito Marco Pistolesi nel giorno del loro matrimonio

Barbara Squillace con il marito Marco Pistolesi nel giorno del loro matrimonio

Empoli, 28 giugno 2024 – Una tragedia che trova il suo epilogo a quasi sei anni di distanza. Barbara Squillace aspettava due gemelli, era alla quarta settimana di gravidanza quando fu ricoverata in ospedale dopo essersi sentita male. Era il 13 luglio del 2018 e la 42enne, originaria di Spicchio di Vinci, ne uscì senza vita una settimana dopo.

Ieri il tribunale di Firenze ha pronunciato la sua "verità": tre dottoresse del reparto di ginecologia dell’ospedale San Giuseppe di Empoli sono state condannate per la "diagnosi sbagliata". Da quanto appreso, i giudici le hanno condannate per omicidio colposo con una pena di due anni e quattro mesi di reclusione. I familiari della vittima erano stati già risarciti prima del processo e non si sono costituiti parte civile. Il pubblico ministero Ester Nocera aveva chiesto la condanna per due medici e l’assoluzione per un terzo imputato. La paziente, secondo la ricostruzione processuale, morì a causa di "un’occlusione intestinale non diagnosticata dai sanitari", che invece la curarono per iperemesi gravidica. Le dottoresse che la seguirono dal giorno del ricovero, il 13 luglio 2018, fino alla morte improvvisa in ospedale una settimana dopo, avrebbero "sbagliato diagnosi" nonostante i sintomi che la paziente manifestava ovvero addome teso, vomito, nausea e forti dolori addominali e "nonostante i risultati degli esami ecografici ai quali era stata sottoposta". Aspetti che – secondo i giudici che si sono presi 90 giorni di tempo per le motivazioni – avrebbero dovuto far sospettare l’occlusione intestinale. Nel corso del ricovero, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la donna fu sempre curata per vomito gravidico, fu prescritta una valutazione interna da parte di una nutrizionista e di uno psichiatra. Inoltre "non fu mai sottoposta alla valutazione di un chirurgo, che avrebbe potuto effettuare la diagnosi corretta e salvarle la vita", questo quanto sentenziato.

"È stata fatta giustizia". Marco Pistolesi ha seguito passo dopo passo il processo per la morte della moglie. "Non ci speravamo più e non speravamo in una condanna così importante – lo confessa con la voce che tradisce l’emozione –. Sono passati così tanti anni, ma la giustizia alla fine ha fatto il suo corso e noi possiamo esserne soddisfatti. Cominciavamo a perdere la speranza, abbiamo vissuto momenti molto difficili". Un calvario, quello della famiglia, finito appunto ieri con la sentenza.

"Stamattina (ieri per chi legge, ndr) eravamo in aula con il cuore in gola, tanta era l’attesa dopo l’ultimo rinvio. Mia suocera ha aspettato a casa perché temevamo uno choc per lei vista l’età: quando le abbiamo dato la notizia è scoppiata a piangere – racconta –. L’importante è che quanto capitato alla nostra Barbara non accada più a nessuno".

Il tempo è scivolato via da quel maledetto 19 luglio 2018, però i ricordi sono ancora forti. "Avevo fatto la notte in ospedale accanto a Barbara e mi ero svegliato al passaggio mattutino degli infermieri per prendere la temperatura – ricostruisce quegli attimi –: pensavo che mia moglie stesse dormendo, ho provato a chiamarla e invece... Quando mi hanno detto che era morta ho vomitato e sono svenuto. Mi sono risvegliato poi al pronto soccorso". Una tragedia che ha interrotto un grande amore. "Conoscevo Barbara da sempre – aggiunge –. Ci siamo frequentati sin da ragazzi. E la sua assenza ha lasciato un vuoto immenso".