
Neri Marcorè sul palcoscenico nell’opera “La buona novella”, che venerdì prossimo sarà rappresentata al Teatro del Popolo di Castelfiorentino (. Foto Tommaso Le Pera
CASTELFIORENTINOUno spettacolo di prosa e musica è quanto attende venerdì prossimo alle 21 il pubblico del Teatro del Popolo di Castelfiorentino. Neri Marcorè e Rosanna Naddeo porteranno infatti in scena “La buona novella“ di Fabrizio De André, scritto e diretto da Giorgio Gallione, accompagnati dalla voce e chitarra di Giua Pierantoni, dalla voce, chitarra e percussioni di Barbara Casini, dalla voce e violino di Anais Drago, dal pianoforte di Francesco Negri e dalla voce e fisarmonica di Alessandra Abbondanza. “La Buona Novella“ è uno spettacolo pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di Fabrizio De André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria.
Di taglio esplicitamente teatrale, costruita quasi nella forma di un’Opera da camera “La Buona Novella“ è il primo concept-album dell’autore, con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo. Ed è proprio da questa base che prende le mosse la versione teatrale. La drammaturgia aggiunta, recitata in gran parte da Neri Marcorè racconta l’antefatto de L’infanzia di Maria, svelandone la nascita ‘miracolosa’, e riempie il vuoto che va dall’infanzia del Cristo alla Crocifissione. Così 30 anni di vita di Gesù sono sintetizzati in un lungo racconto che ci svela un Cristo bambino anche stizzoso, impulsivo.
Un’elaborazione drammaturgica, perciò, che in qualche modo completa il racconto di De André, trasformando La buona novella non solo in un concerto, ma in uno spettacolo originale, recitato, agito e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che penseranno l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore.