REDAZIONE EMPOLI

"Paura del futuro: solo uno su tre l’ha scelta"

Paolo Aglietti, coordinatore di zona della Cgil, traccia il bilancio: "Il tiraggio è stato inferiore alle aspettative: ecco i motivi"

di Bruno Berti

L’avventura di Quota 100, se così la vogliamo definire, per la Cgil, stando a quanto dice Paolo Aglietti, il coordinatore di zona del sindacato guidato da Maurizio Landini, ha avuto l’andamento atteso. Vale a dire che "Eravamo convinti – riflette il sindacalista – che le richieste non sarebbero state quelle attese, quindi con meno spesa da parte dell’Inps. Infatti, ci si rivolgeva, per cogliere gli aspetti positivi della normativa, a lavoratori stabili, quindi con una vita lavorativa senza interruzioni rilevanti e con un reddito abbastanza alto. Altrimenti la convenienza tendeva a scomparire. Il tiraggio, vale a dire le richieste effettive, è stato di circa un terzo del previsto. Certo, la nuova normativa non era la riforma della legge Fornero, visto che quella messa in campo era una norma a scadenza, in tre anni (e questo è l’ultimo, a meno di nuovi interventi legislativi, ndr). Secondo noi, si trattava di una ‘toppa’ per far uscire certi lavoratori, quelli che appunto che avevano una carriera contributiva senza interruzioni".

E di questi dipendenti da qualche tempo, ormai, se ne trovano sempre meno, anche dalle nostre parti, dove pure la continuità lavorativa, al netto delle ricorrenti crisi di settore, che comunque non facevano mancare, a differenza di oggi, le alternative occupazionali, in un mercato del lavoro meno ingessato dell’attuale e soprattutto in cui l’impiego normale era quello a tempo indeterminato e non quello intermittente. Però i conti vanno fatti con la realtà del mercato del lavoro, perché è quel dato da cui non si può prescindere per confrontarsi con la realtà vissuta da coloro che lavorano.

Ma anche la continuità contributiva non bastava, visto che, anche se il pagamento dei contributi non vedeva interruzioni, come ad esempio può accadere per lavoratori che hanno sempre operato per la stessa ditta, "prima di uscire in anticipo gli interessati – riprende Aglietti – ci hanno pensato bene" per evitare di subire decurtazioni del futuro mensile.

Nessuna trappola: semplicemente il trattamento prevede che la pensione sia riferita agli effettivi anni di lavoro, e quindi operai e impiegati, prima di lasciare il posto si fanno i proverbiali due conti, per non compromettere il futuro trattamento pensionistico con una scelta che guarda solo al ‘risparmio’ di alcuni anni di lavoro, specialmente in caso di occupazioni non particolarmente gravose.

E cinque anni di attesa possono non essere una situazione semplice per chi svolge lavori pesanti: basti pensare a un muratore, per cui può essere non proprio agevole lavorare su impalcature ben dopo i 62 anni.

In questo quadro le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno presentato al Governo una piattaforma unitaria che guarda al sistema pensionistico nel suo complesso. I sindacati puntano quindi a una considerazione anche dei periodi di non lavoro, quelli che vivono coloro che perdono un impiego e quindi non hanno i relativi contributi. Tutto questo senza dimenticare l’annosa questione dei lavoratori gravosi, o usuranti puramente e semplicemente, "per cui mancano ancora le relative classificazioni". E, secondo le confederazioni sindacali, con le loro proposte, non c’è neppure quell’eccesso di spesa di cui si è parlato.