di Bruno Berti
Verso la fine del secolo scorso Publiser si trasformava in Spa, società per azioni, e assumeva la denominazione di Publiservizi (non tanto per mancanza di fantasia nella scelta del nome quanto per non confondere i cittadini). La decisione, passata come naturale nei vari consigli comunali, visto che si tratta della holding dei servizi pubblici, veniva presa anche per effetto di una legislazione di vantaggio (termine tecnico che significa risparmi nella trasformazione societaria) approvata dal Parlamento. Le procedure vanno a buon fine, ma la trasformazione (certo non unica: molte le imprese pubbliche interessate in quel periodo, visto che la norma non era certo fatta a misura di un’impresa) incappa nella proibizione degli aiuti di stato (una sorta di Vangelo per Bruxelles: per capirsi c’è voluto il Covid19 per metterla tra parentesi) stabilita della Unione europea. Quindi, per farla breve, qualche anno e un buon numero di richieste di cambiamento e proteste parlamentari dopo, l’Agenzia delle Entrate (o delle tasse, come preferite) si fa viva chiedendo la restituzione dei soldi, la modica cifra di 6 milioni di euro, a quel punto ma non a suo tempo, ottenuti in spregio alle norme.
E’ chiaro che l’azienda si è opposta per quanto poteva, salvo poi mettere mano al portafoglio, mentre altre società preferivano non scucire il dovuto, accampando varie giustificazioni. Nel caso di Publiservizi, poi, l’impresa ha deciso ricorrere in giudizio, in sede tributaria naturalmente, per farsi le proprie ragioni , ritenendo ingiusta la posizione dell’Ue.
"E’ stata una cosa lunga – dice l’amministratore delegato di Publiservizi, Filippo Sani –. Nelle more del procedimento ci sono stati anche pignoramenti. Dal punto di vista dei pronunciamenti abbiamo perso sia in primo che in secondo grado della giustizia tributaria, salvo poi vincere in Cassazione, pochi giorni fa. Nelle procedure siamo stati seguiti dalla professoressa Caterina Oliva dello studio Uckmar di Genova, uno dei più importanti a livello nazionale per le questioni fiscali. In azienda abbiamo tirato un bel sospiro di sollievo, ma la questione non è finita, visto che l’Agenzia delle Entrate, diciamo all’ultimo minuto, ha presentato un nuovo ricorso in Cassazione ‘per fatto nuovo’, ovviamente senza comunicarci di che cosa si tratti.
Noi siamo fiduciosi e riteniamo che la scelta dell’Agenzia sia l’ultimo passo prima di doverci restituire quei 6 milioni di euro che, secondo noi, e a questo punto anche con qualche certezza in più, abbiamo pagato senza che il versamento fosse dovuto". Per chiarezza, ricordiamo che la decisione della Cassazione non ha niente a che fare con la sospensione del divieto di aiuti di stato in seguito al Covid19, visto che parliamo di fatti che si sono verificati oltre 20 anni fa.
Sulla questione l’amministratore delegato di Publiservizi, Filippo Sani, fa poi una valutazione complessiva della questione. "E’ chiaro che una vicenda come quella di cui parliamo, con gli oltre venti anni che sono stati necessari per arrivare a una definizione, e neppure finale a quanto pare, della vicenda, non depongono a favore di iniziative di imprese, dei vari settori, nel nostro Paese, sia che si tratti di imprenditori nostrani che internazionali. Il tempo trascorso, nel caso che ci riguarda, è stato decisamente troppo lungo per arrivare a una sentenza definitiva", anche se poi la questione deve ancora attendere l’ennesimo pronunciamento, che a questo punto dovrebbe essere davvero quello finale. "Se Publiservizi – aggiunge Sani – non fosse stata un’impresa strutturata, con la possibilità di servirsi di avvocati e di aspettare i tempi ‘necessari’, le cose sarebbero andate in modo molto diverso",e quei 6 milioni di euro sarebbero andati senza colpo ferire all’Agenzia delle Entrate.