Fucecchio, 25 gennaio 2022 - Un mistero lungo quasi sette anni. Una seconda indagine ancora in stallo. E il dolore di una mamma che non si dà per vinta: "Ancora non ho finito di sistemare la tomba di mio figlio, perché ogni giorno mi alzo con la speranza di essere avvertita che la Procura di Roma ha disposto la riesumazione del cadavere per nuovi accertamenti", dice Lidia Speri. Lei, del resto, ha sempre sostenuto, dai primi drammatici momenti in cui il corpo senza vita di suo figlio, Federico Carnicci, veniva ripescato nel Tevere, a Roma, nel luglio del 2015 e mentre lei da giorni lo cercava per tutta Roma, che qualcosa non tornava: "Qualcosa è successo quella notte, e sono sicura che nel corpo di mio figlio ci sia scritta la verità".
Da diversi mesi, per i familiari del 27enne, c’è al lavoro un nuovo pool di professionisti che hanno già depositato una memoria in procura corredata da perizia criminologica: un lavoro che porta elementi secondo i quali Federico Carnicci potrebbe essere stato ucciso. La documentazione dell’avvocato Luigi Fornaciari Chittoni e della criminologa Sara Bardi è già sul tavolo del magistrato della procura di Roma che si occupa della morte del 27enne.
Al magistrato viene chiesto di cambiare il titolo di reato del fascicolo ancora aperto sulla vicenda: da omissione di soccorso a carico di ignoti a omicidio. Una richiesta che è stata fatto all’esito di nuove investigazioni e sulla base di riscontri secondo i quali la morte di Federico non sarebbe assolutamente compatibile con il suicidio.
Federico faceva l’operaio e viveva tra Santa Croce e Fucecchio quando decise, nella primavera del 2015, di andare a Roma a fare un’esperienza di strada con un gruppo di punkkabestia. Il giallo comincia tra il 6 ed il 7 luglio 2015: il 27enne scompare. Furono alcuni del gruppo con cui viveva, il mattino dopo, a fare la denuncia di scomparsa. Dopo dieci giorni Federico venne trovato cadavere nel Tevere.
Come c’era finito? "Sono più si sei anni che aspetto una risposta, perché il copione di quella notte ancora deve essere scritto", dice la signora Lidia.
Secondo lei tante cose non tornano... "Il corpo di Federico può ancora parlare. Non è affogato, perché non aveva acqua sufficiente nei polmoni, com’è emerso dall’autopsia, per giustificare l’annegamento. Non è morto per choc termico, causato dal contatto improvviso con l’acqua, com’è stato sostenuto all’esito dell’unica autopsia fatta, perché eravamo nel cuore di un luglio torrido ed il Tevere non era gelato: qualcuno potrebbe averle fatto del male, secondo me; non so chi, non punto di dito su qualcuno in particolare".
Chiedere la riesumazione è anche un atto molto doloroso... "Il corpo presenta segni meritevoli di approfondimento, ci sono ancora due dita nelle quali cercare il dna di un eventuale aggressore con cui mio figlio ha lottato prima di finire in acqua. E c’è anche un segno su una gamba da analizzare bene".
Lei ha ancora fiducia? "Sicuramente non smetto di lottare, cerco di averne. Guardi ora sono a Roma, per ragioni di famiglia. E questo mi consente di andare più spesso da Federico, di andarci quando voglio. Più passa il tempo e più sento il bisogno di farlo. E’ lui a darmi la forza. E’ dura, ma resisto. Non mi fermo qua".
Carlo Baroni