Empoli, 8 novembre 2020 - "A marzo, c’era la percezione di ciò che stava accadendo negli ospedali, adesso no, ma a oggi, il San Giuseppe è l’ospedale dell’Asl Toscana centro con il maggior numero di ricoverati Covid: in degenza ordinaria ne abbiamo 119 ai quali dobbiamo aggiungere i 18 fra intensiva e subintensiva e i circa trenta ora a Fucecchio, nel reparto di cure a bassa intensità. Uno tsunami di ricoveri". E’ venerdì pomeriggio, il 6 novembre, e il dottor Luca Masotti è seduto alla sua scrivania, nel reparto 5A2. Uno dei cinque setting, sei da domani, dedicati ai pazienti che lottano contro il coronavirus. Masotti è direttore della Medicina interna 2 e responsabile dell’Area Covid Empoli della quale ci ha aperto le porte.
Dottore, ci aiuti a capire che sta succedendo.
"Se dal 12 marzo al 12 maggio, giorno in cui ricoverammo l’ultimo paziente, contammo 151 ricoveri fra reparti e intensiva, dal 10 ottobre, giorno in cui abbiamo aperto il primo setting Covid nel 5A3, l’ultimo a esser chiuso a primavera, i ricoveri sono stati 212. In tre settimane abbiamo superato i numeri dell’intero primo ciclo".
Dobbiamo avere paura?
"Posso dirle che siamo già a circa trecento ricoveri, con una media di 11 al giorno e picchi di 20. Sempre per guardare alla prima ondata, le giornate di picco allora furono due, il 26 e il 28 marzo: ricoverammo 8 persone al giorno. Ed è cambiato anche lo stato dei pazienti".
Che significa?
"A oggi quattro reparti, 96 posti, sono occupati da persone che, anche giovani, richiedono cure ad alta intensità medica: circa 40 sono ventilati, il 35 per cento. Sono situazioni da terapia subintensiva: le gestiamo con enorme fatica del personale, che fa tutto ciò che può: sono tutti encomiabili. Lo scriva: si fanno i salti mortali per tenere in piedi la struttura".
Qual è la giornata tipo?
"Le dico la mia, oggi. Sono arrivato come d’abitudine verso le 7.20. Avevo già preparato ieri alcune dimissioni per accelerare le procedure".
I letti servono?
"Il numero di pazienti in attesa supera quello dei dimessi: i letti non bastano".
Come è proseguita la giornata?
"Briefing con la caposala, impossibile riunire tutti i professioni: c’è bisogno costante in reparto. Poi mi sono vestito e ho fatto il giro di visite. Dopo le due ore e mezzo, mi sono tolto scafandro e quant’altro: era come mi fossi buttano in mare vestito. Poco dopo è scattata un’urgenza, una persona è stata intubata: mi sono scafandrato di nuovo e sono ripartito".
Com’è l’incontro con i pazienti?
"Impegnativo. L’altro giorno, uno di loro mi ha detto guardandomi negli occhi ‘dottore, io mi affido a lei’ o c’è chi scrive ai propri affetti, pagine e pagine".
Ricovero vuol dire isolamento.
"Le telefonate alle famiglie, come l’incontro a distanza del team dell’unità di crisi, sono un’altra tappa. Spesso non sono né brevi né piacevoli: quando ti trovi a dover dire che un paziente è stato intubato, che si è aggravato, dall’altra parte avverti il silenzio delle lacrime. Oggi ne ho fatte 24, fra le 13 e le 15.30".
Una giornata interminabile.
"Lo è. Nel pomeriggio c’è poi il passaggio delle consegne con i colleghi di guardia. Consideri che i turni sono tali per cui i medici, che fanno di solito tre notti al mese, adesso ne fanno una ogni quattro giorni e in mezzo, a volte, fanno mattina o pomeriggio, anche per 12 ore".
Servono rinforzi?
"Serve un numero congruo di personale, anche perché dobbiamo fare i conti con le positività che interessano gli operatori. Un numero importante fra medici e infermieri".
Ma c’è un modo per limitare se non fermare i contagi?
"Essere consapevoli di quanto il virus si trasmetta facilmente è il punto di partenza. Qui abbiamo ricoverati marito e moglie, fratello e sorella, proprio oggi ho dimesso suocero e genero. La famiglia è luogo di contagio e non è ancora chiaro".
Perché dice questo?
"Capita di chiedere durante le telefonate giornaliere se i contatti stretti si sono messi in quarantena e, dai silenzi, capisci che la risposta è no. Se faccio il tampone oggi e mi danno l’esito fra quattro giorni, io devo mettermi da subito in autoisolamento, non attendere il risultato del test".
C’è un appello che vuole fare?
"Non sottovalutate la gravità della malattia: siamo in una zona ad alto rischio, se si continua così fra dieci giorni sarà un disastro. Tutto grava sulle spalle di un sistema ospedaliero allo stremo: gli spazi sono saturi e noi viviamo in quotidiana emergenza, con la drammatica consapevolezza che durerà per mesi".