YLENIA CECCHETTI
Cronaca

La maiolica che non ti aspetti. Vaso ‘nostrano’ trovato a Osaka

Le analisi confermano il viaggio dell’antico manufatto fino in Giappone

Fausto Berti, direttore scientifico del museo della ceramica di Montelupo

 

Montelupo Fiorentino, 22 gennaio 2016 - Sarà stato di buon auspicio il convegno «Le ceramiche di Montelupo nei musei di tutto il mondo» promosso dalla Fondazione Museo Montelupo, un paio di mesi fa. L’obiettivo della giornata era indagare le collezioni sia italiane che straniere, nelle quali sono presenti maioliche montelupine e studiarne l’ampia diffusione. Ma la storia non finisce mai di stupire. E’ di questi giorni la conferma che un reperto rinvenuto ad Osaka è stato prodotto da una bottega di Montelupo. Il raggio di esportazione della ceramica locale nei secoli continua ad ampliarsi. Ma che un manufatto montelupino fosse arrivato addirittura in Giappone, è una scoperta che ha destato molto stupore.

Una soddisfazione immensa per Fausto Berti, responsabile scientifico del patrimonio archeologico del Comune di Montelupo. «Ho ricevuto la visita di Keiko Matsumoto, curatore della sezione archeologica del museo di Osaka – racconta Berti – Mi ha fatto toccare con mano l’oggetto ritrovato nel corso di una campagna di scavo nei dintorni della cittadina giapponese. Su un vaso cilindrico molto semplice, che serviva a contenere le spezie, è raffigurato il tipico decoro montelupino dell’albarello ovvero una decorazione a foglia di vite policroma, blu e gialla». Il vaso è certamente arrivato in Giappone grazie ai commerci della Compagnia delle Indie fra la seconda metà e la fine del XVI secolo, e probabilmente venne gettato nei rifiuti verso la fine del XVII secolo. Fra il 1500 e il 1600 la ceramica montelupina aveva una diffusione e un’importanza tale che venne copiata da moltissimi artigiani di tutta Europa, in particolare dagli olandesi. Il ritrovamento risale al 2003 ma a lungo si è ritenuto che il vaso di Osaka, quasi completamente integro, fosse stato realizzato in Olanda, anche in ragione dei commerci fra il Giappone e i paesi della Compagnia delle Indie.

La svolta nei giorni scorsi. Il dubbio è stato sciolto. Non si trattava di un reperto olandese, tantomeno di manifatture genericamente indicate come «toscane». La conferma è arrivata dall’analisi chimica dell’oggetto. «Recenti studi fatti in Giappone sull’impasto ceramico dell’oggetto hanno rilevato una grossa quantità di calcio: una tecnica unica per esaltare il bianco dei diversi manufatti, che conferma la provenienza montelupina. Si tratta dell’esportazione più lontana registrata fino ad oggi. Probabilmente il pezzo è andato a finire in un lotto di ceramiche olandesi partite dal porto di Livorno - in passato molto usato per i loro traffici da olandesi e inglesi - per raggiungere l’estremo oriente. I pezzi in maiolica acquistati ai mercati nel Rinascimento avevano una diffusione commerciale enorme. Che ci riserva ancora oggi tante sorprese».

Mentre è noto l’elenco delle collezioni che nel mondo ospitano pezzi montelupini (manufatti in ceramica sono presenti alla National Gallery of Victoria di Melbourne, al Louvre di Parigi, al Kunstgewerbemuseum di Berlino, al British Museum e al Victoria and Albert Museum di Londra e al New York Metropolitan Museum of Art) non è semplice definire il raggio delle esportazioni. «Ci vorranno anni di studio e di ricerche. Ma non c’è luogo che non custodisca uno dei nostri gioielli». Alcuni dei viaggi fatti da Berti ne sono stati la riprova: «Anche a Cuba nel palazzo del governo durante una campagna di scavi sono riaffiorate maioliche montelupine...».