
Un momento dell’assemblea di ieri dei lavoratori di Vibac e Colorobbia
Vinci, 22 febbraio 2020 - Tante facce tirate e preoccupate dentro la sala gremita dove si discute delle due vertenze – Vibac e Colorobbia - che rischiano di far perdere 180 posti di lavoro nel raggio di pochi chilometri. All’indomani dell’incontro al ministero dello Sviluppo, dove la proprietà della multinazionale di nastri adesivi ha annunciato il ritiro della procedura di licenziamento collettivo e l’apertura della cassa integrazione ordinaria per gestire la crisi, c’è cauto ottimismo alla Casa del Popolo di Sovigliana dove è in corso l’assemblea generale della Filctem Cgil fiorentina.
I lavoratori della Vibac di Mercatale (Vinci), reduci da un oltre un mese di mobilitazione, assemblee e presidi, non se la sentono di tirare un sospiro di sollievo. Dal tavolo romano è stata strappata una flebile speranza. Certezze sulla ripresa della produzione ancora non ce ne sono. «Finché non vedo tutte le firme sull’accordo verbale non sto tranquillo», dice Giovanni Gigli, addetto al magazzino, che tra ex Syrom e Vibac lavora nello stabilimento di Mercatale da 33 anni. Nell’ultimo mese ha passato più ore al picchetto davanti ai cancelli che con la famiglia. «Ho fatto i miei turni e anche quelli degli altri – continua –. Ho dormito davanti ai cancelli perché il lavoro è dignità e bisogna lottare quando cercano di calpestare i tuoi diritti. Non so come andrà a finire, ma bisognava provarci». Francesco Orsi, 25 anni alla spalmatrice, sorride a denti stretti: «Mi sento un po’ più sollevato – dice – ma non ci vedo chiaro. Non ho molta fiducia nel futuro di questa azienda. Mi mancano ancora 10 anni alla pensione e restare senza lavoro con una famiglia alle spalle non è certo il massimo. Ho un figlio di 15 anni e una moglie che per fortuna lavora. Ma un solo stipendio non è sufficiente». I dipendenti parlano tra loro, sembrano smarriti, si fanno domande alle quali al momento non ci sono risposte.
«La procedura di cassa integrazione ordinaria personalmente l’accetto volentieri, ma è brutto pensare che c’è comunque una scadenza. Fra un anno cosa accadrà? – si chiede Luca Bagni, spalmatore da 20 anni –. Cerco di essere fiducioso, devo esserlo. Se c’è uno spiraglio provo ad infilarmi, ma vedo poca luce in fondo al tunnel». Mohamed Dyitte è originario del Senegal e lavora nello stabilimento alle porte di Vinci dal 1990. «Con la precedente proprietà – racconta – c’era un rapporto: ogni tanto venivano a visitare i reparti, ci chiedevano come andasse e i problemi che riscontravamo. Con il nuovo proprietario, invece, non abbiamo mai avuto contatti diretti e questo genera, per forza, un calo di fiducia e tanta preoccupazione. Volendo vedere il lato positivo, questo anno di cassa integrazione potrebbe essere un’opportunità per guardarsi intorno e cercare altro». Quelli che mercoledì hanno partecipato al tavolo ministeriale cercano di infondere fiducia. Giuseppe Dentato, di Filctem Cgil di Firenze, parla di «cauto ottimismo». La battaglia è appena iniziata – dice il delegato sindacale –. L’incontro a Roma però ci ha fatto fare un passo in avanti. Ora possiamo cominciare un percorso che non riguarda soltanto lo stabilimento di Vinci, ma tutto il gruppo».
Vladimiro Spinelli della Rsu riavvolge il nastro e torna ai giorni immediatamente successivi alla chiusura dei cancelli da parte della proprietà. «Ti svegli e non sai più chi sei. Eravamo fuori dalla fabbrica ma percepivamo lo stipendio: è una condizione assurda che colpisce la dignità. Ieri (mercoledì), uscito dall’incontro al Ministero ho mandato un messaggio: uniti si vince, poi ho cancellato, uniti si sopravvive. Abbiamo davanti una strada in salita e piena di curve. Ma oggi è un giorno nuovo».