di Irene Puccioni
Da amministratrice pubblica, da donna, ma soprattutto da mamma, il sindaco di Empoli, Brenda Barnini, dopo giorni di riflessione ha deciso di esporsi, prendersi la propria parte di responsabilità e provare a fare qualcosa rispetto agli episodi di violenza e stupro di gruppo che si sono consumati in questi ultimi giorni in varie parti d’Italia. "Nelle prossime settimane chiederò la collaborazione dei professionisti pubblici del consultorio, ma anche dei privati che vorranno mettersi a disposizione, delle associazioni e del terzo settore per organizzare dentro e fuori dalle scuole del nostro territorio momenti di educazione alla sessualità e alla affettività". Una vera e propria chiamata a raccolta, perché, ne è convinta il sindaco, "tutti coloro che vorranno dare una mano saranno preziosi".
Lanciando questo invito cosa si aspetta dalla comunità empolese?
"In poche ore ho ricevuto tanti feedback positivi e massima disponibilità a collaborare da diversi professionisti del territorio. Qui c’è bisogno di creare una grande alleanza contro l’odio e la violenza, che non colpevolizzi le vittime e non dipinga come lupi di una favola i cattivi. C’è bisogno di rimettere sul binario della realtà questa ondata di violenza, che tocca e potrebbe toccare a ciascuno di noi di vivere. Sarà solo una goccia nel mare, ma andrà nella direzione giusta quella che non si ferma al giorno della violenza, al solo tempo presente ma pensa al futuro dei nostri figli e della nostra società. A livello territoriale le energie da mettere in campo sono tante: penso al consultorio, a tutti quei professionisti che lavorano con i giovani, psicologi e pedagogisti".
Pensando agli episodi di cui si sta parlando da giorni sui giornali, in tv e sui social, cosa la turba di più?
"La mancanza degli strumenti cognitivi ed emotivi per riuscire a quantificare il danno e la gravità. Non si può derubricare il fatto archiviandolo come “figlio della marginalità sociale” o della “sfortuna del momento”".
Da genitore di due figli maschi di cosa ha paura?
"Mi interrogo e mi chiedo se sono e sarò in grado di trasmettere ai miei figli quei principi sufficienti affinché, da un lato evitino di inserirsi in situazioni di quel tipo, dall’altro che diventino soggetti attuatori di simili azioni".
Da dove bisogna ripartire?
"Sbagliato, secondo me, demandare tutto ad un solo contesto o soggetto. Dalla scuola, alla famiglia, dall’ambiente sportivo e ricreativo alle istituzioni. In qualunque luogo vengano trasmessi valori, è li che si devono concentrare e dedicare momenti di educazione alla sessualità e alla affettività. Anche il mondo dell’informazione, i giornalisti che raccontano i fatti, hanno la loro responsabilità. La Nazione da anni porta avanti una bella iniziativa, quella di Cronisti in Classe. Perché non dedicare la prossima edizione del campionato di giornalismo al tema delle competenze emotive e dell’affettività? Credo ne uscirebbero dei bei contenuti".
Da primo cittadino di una comunità di quasi 50mila abitanti, di cui una buona fetta giovanissima, cosa vorrebbe fare?
"Il compito dell’amministrazione comunale è quello di mettersi a disposizione, accogliere e raccogliere progetti e iniziative che soggetti che hanno competenze potranno proporre. Penso alla necessità di portare avanti percorsi di educazione che non si limitino ad un breve periodo. Lavorare sull’emotività e sulle emozioni è una cosa che viene fatta tantissimo nei primi anni di vita poi man mano che si va avanti con l’età scompare, come se questa fase fosse superata, acquisita. Quello che secondo me andrebbe fatto è rimetterla al centro. E poi c’è un altro fondamentale aspetto che oggi più di prima sta alimentando comportamenti che non sono assolutamente accettabili".
Quale?
"I social e la vita parallela che essi tendono a creare. Chi si trova nel ruolo di educare dovrebbe riuscire a trasmettere l’aggancio alla vita reale. La vita sempre più dematerializzata porta alla cosa più agghiacciante, ovvero alla perdita di consapevolezza della gravità dei gesti".