
Papà (foto Ansa)
Firenze, 19 marzo 2025 – Oggi è la festa del papà. Eppure in Toscana si continua a usare la parola babbo. I toscani sono tra i pochi a usarla, ma non gli unici. Come mai? Lo spiega dettagliatamente la Crusca in un articolo di Consulenza linguistica sul suo sito. Il termine “babbo” è diffuso nella medesima accezione anche in Romagna, Umbria, Marche, Sardegna e nel Lazio settentrionale. L’italiano moderno, accanto a “papà”, accetta anche questa forma familiare affettiva, presente in tutti i dizionari: entrambe le parole, infatti, costituiscono due forme tipiche del primissimo linguaggio infantile, costituite dalla ripetizione di una sillaba, perlopiù formata dalla vocale a e da una consonante bilabiale (p, b, m), i suoni più facili da produrre per i bambini. L’espressione “papà” è un vecchissimo francesismo, usato tradizionalmente anche nel nord Italia, data la contiguità di area, mentre “babbo” risulta una espressione autoctona, ovvero assolutamente locale. La primissima diffusione del termine “papà” divenne una sorta di questione sociale, dove "i ricchi preferivano “papà”, al contrario le persone del popolo, quindi più genuine, prediligevano “babbo”, soprattutto in Toscana. E di fatto, ancora oggi si dice “figlio di papà”, mentre “figlio di babbo” non funziona proprio. Al contrario, “babbo Natale” viene sempre preferito a “papà Natale”. Papà a metà: solo l'11% dei padri è soddisfatto di come vive il proprio ruolo Il 19 marzo celebriamo la Festa del Papà ma per molti padri italiani questa giornata ha un sapore amaro. Se da un lato si festeggia il loro ruolo nella famiglia, dall’altro le istituzioni e ancora troppe aziende continuano a ostacolare una vera condivisione della genitorialità. I dati parlano chiaro: solo l’11.10% dei padri è soddisfatto di come vive il proprio ruolo paterno, dato che dimostra come le condizioni lavorative e culturali impediscono un equilibrio equo tra genitorialità e carriera. Secondo l’ultima indagine condotta da Me First - che ha coinvolto 373 padri lavoratori con un'età media di 40,81 anni - in collaborazione con LabCom, former spin-off dell’Università di Firenze, quasi il 66% dei padri lavoratori sperimenta livelli medio-alti di esaurimento emotivo e burnout, mentre oltre il 75% non si sente realizzato nella propria situazione professionale. Tra le cause principali, emerge la difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia, aggravata dal fatto che in Italia il congedo di paternità obbligatorio è di soli 10 giorni per i lavoratori dipendenti. Secondo i dati dell’Osservatorio sulla Genitorialità in Azienda, solo il 20% dei padri usufruisce pienamente del congedo di paternità, spesso per paura di essere penalizzati sul lavoro. Di conseguenza, il carico della cura dei figli ricade ancora prevalentemente sulle madri, mentre i padri restano incastrati in ruoli marginali. "Il problema non è solo che i padri non riescono a trovare un equilibrio tra lavoro e famiglia, ma che non viene loro riconosciuto il diritto di essere presenti quanto le madri. Il nostro studio evidenzia che il peso della genitorialità continua a ricadere sulle madri, limitando la libertà e la salute psicosociale delle donne e impedendo ai padri di vivere il loro ruolo." sottolinea Cristina Di Loreto, psicoterapeuta e founder di Me First. I padri chiedono più tempo per bilanciare lavoro e famiglia Se da un lato i padri vogliono essere più coinvolti, dall’altro le aziende non sembrano pronte a supportarli. L'81,7% dei padri lavoratori coinvolti nello studio vorrebbe misure di sostegno per bilanciare lavoro e famiglia, ma solo il 31,1% ha effettivamente ricevuto supporto. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, solo il 28% delle aziende italiane ha implementato politiche concrete per favorire una maggiore equità nella distribuzione delle responsabilità genitoriali. Questa mancanza di supporto ha conseguenze dirette sul benessere dei padri, infatti il 74% degli intervistati riporta livelli elevati di distress genitoriale. Inoltre, secondo un'indagine dell'ADP Research Institute, il 43% dei genitori lavoratori sarebbe disposto a cambiare lavoro se fosse obbligato a rientrare full-time in presenza, con una percentuale che sale al 55% tra chi ha figli sotto l’anno di età. Se vogliamo un futuro più equo, servono politiche aziendali più inclusive, un congedo di paternità più lungo e un riconoscimento concreto del ruolo dei padri nella crescita dei figli. Cinque film per riflettere sul rapporto padre-figlio In occasione della festa del papà il cinema si rivela uno straordinario strumento per esplorare i rapporti genitori-figli e comprendere meglio le dinamiche di una relazione piena di sfaccettature e spesso segnata da conflitti ed emozioni contrastanti come amore, rabbia, delusione e desiderio di riconciliazione. Quali film possono aiutarci a riflettere sulle emozioni dettate dal rapporto che un figlio o una figlia ha con il proprio padre, e viceversa? Virginio De Maio, ricercatore ed esperto di cinema applicato alla formazione ed evoluzione personale, autore del libro Filmatrix Infinity, ha ideato un metodo - basato su studi scientifici legati alle neuroscienze - per trasformare la visione di un film in un potente strumento di benessere emotivo. Propone questi i 5 film da vedere per la festa del papà che esplorano il rapporto padre-figli, mostrando come il cinema possa favorire comprensione e riconciliazione: Il padre della sposa (Charles Shyer, 1991); Cielo d’Ottobre (Joe Johnston, 1999); Molly’s Game (Aaron Sorkin, 2017); Un amico straordinario (Marielle Heller, 2019); Eric (Lucy Forbes, 2024). Maurizio Costanzo