{{IMG_SX}}Firenze, 16 ottobre 2007 -  Una 'religiosa' della libertà; libertà politica, di opinione, di pensiero, di parola; combattente in vita e di  fronte alla morte; consumata, ma non logorata, da un amore indescrivibile per la sua città, Firenze, e per la sua regione, la  Toscana. Questa era Oriana Fallaci negli ultimi mesi della sua esistenza, nel tempo in cui i pensieri più riposti, le inquietudini, i  timori, sono inarrestabili e sinceri.

 

Le uniche persone che li hanno raccolti, che con lei ne hanno parlato, discusso, dibattuto, sono  un laico e un cattolico, entrambi interpreti del pensiero libero di Oriana Fallaci: il vescovo ausiliario di Roma e rettore
dell'Università Lateranense, monsignor Rino Fisichella, e il presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini,  che le consegnò a New York una onorificenza dell'Assemblea toscana.

 

È la prima volta che Nencini e Fisichella hanno  l'occasione di parlarne insieme in pubblico e forse potranno rispondere a chi ancora si interroga sul vero carattere,  temperamento, natura, di una personalità come quella di Oriana Fallaci, in una parola, della sua vera identità, cioè del suo modo  di vedere il mondo e di incontrarlo, della sua capacità di capirlo, di amarlo, di affrontarlo, di cambiarlo.

 

Ne parleranno in Santa  Croce, sabato prossimo, 20 ottobre, prendendo spunto da un volume, uscito in questi ultimi giorni, di Riccardo Nencini ('Morirò  in piedi'), che è anche il racconto, coinvolgente da un punto di vista emotivo, realistico nella sua scansione di tempo e di idee,  dei suoi incontri con Fallaci negli ultimi mesi di vita.

 

Fisichella, destinatario di una parte importante del patrimonio librario di Fallaci, è anche l'uomo con il quale lei, 'l'atea  cristiana', ha affrontato il problema del sacro, che in qualche modo ha segnato gli ultimi anni della giornalista, fino a raccogliere  la sfida di Papa Ratzinger, di vedere, di ragionare, lei, atea, tale rimanendo fino all'ultimo istante, del sacro e sul sacro.

 

Un  appuntamento e una testimonianza per molti versi decisivi per capire la Fallaci; un modo per riflettere sul suo angosciato  messaggio di libertà, considerata «un dovere, ancor prima che un diritto», dell'uomo.