MAURIZIO COSTANZO
Firenze

9 gennaio, quando Neruda visitò Firenze e scrisse due poesie a lungo dimenticate

Una la dedicò alla città e l’altra all’Arno: le compose nel 1951 ma vennero pubblicate solo nel 1988. Ecco i suoi versi

Pablo Neruda

Pablo Neruda

Firenze, 9 gennaio 2025 – Oggi, di 73 anni fa, Firenze ricevette una visita speciale da parte di colui che Gabriel García Márquez definì "il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua”. Negli anni dell’esilio politico infatti, Pablo Neruda fu ospite del sindaco Mario Fabiani in Palazzo Vecchio, e rimase estasiato dalla bellezza della città. Era il 9 gennaio del 1951. Quella visita gli ispirò alcuni versi. Scrisse due poesie, che rischiarono di andare perdute, ma che oggi riproponiamo. Una la dedicò a Firenze e l’altra all’Arno. Neruda morì il 1973, queste poesie vennero pubblicate per la prima volta nel 1988 e ripubblicate solo nel 2013. Eccole.

Il fiume

Io entrai a Firenze. Era di notte. Tremai sentendo quasi addormentato ciò che il dolce fiume mi raccontava. Io non so ciò che dicono i quadri e i libri (non tutti i quadri né tutti i libri, solo alcuni), ma so ciò che dicono tutti i fiumi. Hanno la stessa lingua che io ho. Nelle terre selvagge l’Orinoco mi parla e io capisco, capisco storie che non posso ripetere. Ci sono segreti miei che il fiume si è portato e ciò che mi ha chiesto lo vado facendo a poco a poco nella mia terra. Nella voce dell’Arno riconobbi allora vecchie parole che cercavano la mia bocca, come chi ha mai conosciuto il miele e poi ne riconosce la delizia. Così ascoltai le voci del fiume di Firenze, come se prima d’essere m’avesser detto ciò che adesso ascoltavo: sogni e passi che mi univano alla voce del fiume, esseri in movimento, colpi di luce nella storia, terzine appese come lampade. Il pane e il sangue cantavano con la voce notturna dell’acqua.

La città

E quando in Palazzo Vecchio, bello come un'agave di pietra, salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze, e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume, delle case tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi: la maestà del popolo governava. E guardai dietro la sua bocca i fili abbaglianti della tappezzeria, la pittura che da queste strade contorte venne a mostrare il fior della bellezza a tutte le strade del mondo. La cascata infinita che il magro poeta di Firenze lasciò in perpetua caduta senza che possa morire, perchè di rosso fuoco e acqua verde son fatte le sue sillabe. Tutto dietro la sua testa operaia io indovinai. Però non era, dietro di lui, l'aureola del passato, il suo splendore: era la semplicità del presente. Come un uomo, dal telaio all'aratro, dalla fabbrica oscura, salì i gradini col suo popolo e nel Vecchio Palazzo, senza seta e senza spada, il popolo, lo stesso che attraversò con me il freddo delle cordigliere andine, era lì. D'un tratto, dietro la sua testa, vidi la neve, i grandi alberi che sull'altura si unirono e qui, di nuovo sulla terra, mi riceveva con un sorriso e mi dava la mano, la stessa che mi mostrò il cammino laggiù lontano, nelle ferruginose cordigliere ostili che io vinsi. E qui non era la pietra convertita in miracolo, convertita alla luce generatrice, né il benefico azzurro della pittura, né tutte le voci del fiume quelli che mi diedero la cittadinanza della vecchia città di pietra e argento, ma un operaio, un uomo, come tutti gli uomini. Per questo credo ogni notte del giorno, e quando ho sete credo nell'acqua, perchè credo nell'uomo. Credo che stiamo salendo l'ultimo gradino. Da lì vedremo la verità ripartita, la semplicità instaurata sulla terra, il pane e il vino per tutti.

Nasce oggi

Domenico Modugno nato il 9 gennaio del 1928 a Polignano a Mare. In tutta la sua lunga carriera Mimmo è stato uno dei più prolifici cantautori e artisti italiani: 230 canzoni incise, 38 film recitati, decine di spettacoli teatrali e programmi. Una sua celebre frase recita così: “Nel mare della vita i fortunati vanno in crociera, gli altri nuotano, qualcuno annega”.

Maurizio Costanzo