Firenze, 15 settembre 2018 - Acquistarono per pochi soldi uno sgangherato furgone della Citroën che era stato un cellulare della polizia. E lo trasformarono in casa, studio, “covo” della creatività. «Non volevamo essere legati a un appartamento e pagare l’affitto. Non prendemmo molte cose: un materasso, un fornello, uno schedario, una macchina per scrivere, una scatola per i nostri vestiti».
Era il 1977 e per tre anni Marina Abramovic e il suo compagno Ulay girarono l’Europa, soffrirono il freddo e la fame, ma crearono arte. Inventarono performance e coltivarono un modo di esprimersi col corpo e con la mente, dando senso al silenzio e all’imbarazzo, sfidando prima se stessi e poi il pubblico.
Quel furgone è ancora più malmesso di allora, ma è sempre vivo. Tanto da arrivare nel cortile di Palazzo Strozzi e diventare uno dei simboli della grande retrospettiva dedicata a Marina Abramovic, che si apre venerdì prossimo nelle sale espositive di Strozzi fino al 20 gennaio.
Alla geniale, celebre e controversa artista serba, che con le sue opere ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il suo corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione, è dedicata una rassegna che riunisce oltre 100 opere. Con un gruppo di performer selezionati e formati specificatamente per questa mostra, ci sarà quotidianamente la riesecuzione dal vivo di molti dei lavori più famosi dell’Abramovic, realizzati dagli anni Sessanta agli anni Duemila.
E IL VECCHIO e un po’ ammaccato Citroën è lì a ricordare questo viaggio. E’ lì dentro, ad esempio, che lei e Ulay studiarono una delle performance diventate celebri: “Imponderabilia”. «Siamo in piedi, nudi, sull’ingresso principale del museo – racconta Marina –, una di fronte all’altro. Il pubblico che entra nel museo deve oltrepassare, mettendosi di traverso, il piccolo spazio tra di noi. E ogni persona che passa deve scegliere chi di noi due affrontare». Quel furgone non è dunque un souvenir, ma un punto di partenza dell’avventura artistica ricostruita da Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi e curatore della mostra.
«Questo viaggio inizia negli spazi del Cortile di Palazzo Strozzi – spiega Galansino – col furgone che Marina e Ulay acquistarono, ad Amsterdam e col quale condussero una vita nomade tra una performance e l’altra, fra un’esposizione e un festival, viaggiando incessantemente per tre anni in Europa, in un connubio di vita e arte, con un moto perpetuo espresso nel manifesto Art Vital».
Per la loro vita sulla strada Ulay scrisse infatti una specie di testo programmatico, forse più un codice deontologico che un vero e proprio manifesto artistico. Ma in ogni caso assai fedele a quanto Marina avrebbe continuato a fare anche dopo la loro separazione: «Nessuna dimora stabile. Energia mobile. Movimento permanente. Nessuna prova. Contatto diretto. Nessun finale prestabilito. Relazione locale. Nessuna replica. Autoselezione. Vulnerabilità estesa. Superare i limiti. Esposizione al caso. Correre rischi. Reazioni primarie».
Tutti concetti che ritroviamo nelle performance. Manca poco, si va in scena.