
Ugo De Vita
Firenze, 28 aprile 2025 - Ugo De Vita porta in scena Voci del Mediterraneo al teatro Niccolini. De Vita, autore ed attore, docente universitario presso un Master di Filosofia a Padova, il 19 maggio alle 18.30, collegato con due atenei, quello di Roma “La Sapienza” e Perugia, grazie al coinvolgimento di ventidue emittenti radiofoniche, fuori dalla Toscana, proporrà con interventi di Massimiliano Cardini e del Gruppo Lettura di Alice (R. Canfora, F, Arbore, A. Di Dio, L. Cologelo, G. Giacovelli, F. Parigi) tra approfondimento e divulgazione il racconto di cinque tra le maggiori voci del Novecento: Albert Camus, Eduardo De Filippo, Elsa Morante, Luigi Pirandello ed Antonio Pizzuto. Ingresso a inviti e libero fino a esaurimento, si terrà nella Sala Cocomero del Teatro Niccolini. De Vita che cosa è questo “Voci del mediterraneo”? “Non si tratta di uno spettacolo, non ci saranno musiche o luci. né scenografia, ho voluto privilegiare la parola, attraverso didattica e divulgazione su alcune “voci” letterarie, diverse e straordinarie. Scrittori di fama internazionale, alcuni dei quali insigniti del Nobel, che al di là della frequentazione scolastica mi paiono dimenticati. Penso in particolare a Camus, alla Morante e a Pizzuto. Il primo la cui morte porta un “alone” di giallo poiché Camus è stata una intelligenza di sensibilità acutissima, un “comunista” ribelle e fuori dalle convenzioni, uno spirito davvero libero, la seconda scrittrice italiana la cui vicinanza con Alberto Moravia non le giovò affatto perché reputo la Morante, la più grande scrittrice del Novecento italiano, il terzo poiché credo che questo poliziotto laureato in filosofia è come indicava Carmelo Bene il più raffinato e musicale prosatore del secolo vecchio ed è praticamente sconosciuto ai più.” Come sarà strutturato l’evento? “Una polifonia, una successione di voci, a sottolineare come spesso accade quanto espirime la “lectio”, ma con una attenzione al “significante sonoro” per nulla scontata. Questo appuntamento è nell’ambito del progetto che presentammo l’estate scorsa a Palazzo Vecchio: “Leggere per … dimenticare”, che - senza nulla togliere alla “storia” e l’importanza di “Leggere per non dimenticare”, vuole significare bisogno di calarsi nel “letterale”, nel vocalico e il consonantico, come lo “speleologo” nelle fenditure della terra alla scoperta delle parole, del loro suono. Tutto questo è per me dimenticare e dimenticarsi lasciandosi cullare dalla suggestione del pensiero/parola. Solo aprendo questa “finestra”, sulla grammatica e la sintassi riscopriremo amore per la lingua italiana che è magnifica.” A suo giudizio gli attori non sono sufficientemente attenti a questi aspetti di recitazione e lettura di versi e prose? “Ho insegnato alla Accademia “Silvio D’Amico”, per due anni “Dizione in versi”, ed ho tenuto seminari alla Scuola Civica “Paolo Grassi” a Milano, debbo dire con rammarico che oggi non si ha più cura della dizione e neppure della fonetica, non c’è chi la insegna. Ho fatto per trenta anni molto doppiaggio e over sound in Rai ma la scuola è e resta per tutti il teatro. Oggi c’è fioritura di una dimensione amatoriale o semmai professionale, il lavoro dell’attore e professione di pochi. E pochissimi sono coloro che hanno strumenti. Va ribadito che una cosa è il teatro di prosa altro il teatro dei “comunicatori” e penso a Buffa, Cazzullo, ora la Bruzzone … e poi Recalcati, filologie diverse e diversi significati ma il teatro dovrebbe ospitare teatro, poesia, musica.” Che rapporto ha con i dialetti? “A noi a doppiaggio ragazzo insegnavano rudimenti che poi ho trovato nei libri di Dorfles, attenzione alle sonorità, gli accenti, il vocalico aperto di quelle regioni sulla costa e il consonantico duro delle occlusive e le fricative. I dialetti sono lingue, penso a Pier Paolo Pasolini e al suo Canzoniere Italiano, a Calvino con il repertorio delle Fiabe Italiane, non si discute che siamo “scrigno prezioso” e intersecazione tra “volgare” e italiano ma si tratta di recuperare quella “lingua” che uscita dal risorgimento, Pasolini - anche con una espressione scettica - chiamava “italico sabaudo-cortigiano”, non può essere ridotta a parlari “sgangherati” o peggio a emoticon.” E la letteratura come può essere veicolata? “A questo volevo giungere, cioè proprio all’idea di “lavorare le parole”, allo scopo di prestituire le meraviglie di un testo. Le grandi voci, non solo quelle del doppiaggio, penso a Cigoli, a De Angelis, a Barbetti o Amendola ma anche anche ai Foà, a Gazzolo o a Cucciolla, questo è il patrimonio che ci hanno lasciato e in questa dimensione spero il pubblico potrà godere di “voci del mediterraneo”. Maurizio Costanzo