CATERINA CECCUTI
CATERINA CECCUTI
Cosa Fare

La telefonata che cambiò una vita: il ricordo struggente di Piero Curiel

La fuga disperata da Trieste: la testimonianza di un bambino ebreo, un racconto che incide nel cuore della memoria storica. Oggi pomeriggio l’evento organizzato dalla Commissione “Mi Dor Le Dor” in Sala Servi

Firenze, 5 marzo 2025 - Il trillo insistente del telefono echeggiava nella casa dei Curiel come un presagio. Paola Curiel sollevò il ricevitore e udì la voce di uno sconosciuto che intimava: “Sarebbe bene che andaste via…”. In un attimo, il clic della comunicazione interruppe quell’inquietante messaggio, e senza esitazione, la famiglia – composta da Nino, medico, sua moglie Paola e il piccolo Piero di sei anni e mezzo – fuggì da Trieste. Fu la mattina del 9 settembre, all'indomani dell’armistizio, quando il pericolo di un imminente arrivo dei tedeschi e dei fascisti spinse gli ebrei a intraprendere un viaggio disperato verso un futuro incerto. Il viaggio verso Firenze fu intriso di angoscia: due giorni dopo l’addio a Trieste, i soldati germanici erano già all’orizzonte. I Curiel trovarono rifugio in un appartamento in via Duca D’Aosta, proprio di fronte alla Questura, un’abitazione appartenente alle zie di Piero, anch’esse ebree e ricoverate all’ospedale di Careggi per sfuggire alle retate delle SS. Una precauzione che non le avrebbe salvate. Un giorno vennero scoperte e deportate ad Auschwitz. Durante l’evento "Caffè Europa", organizzato dal Gruppo “Mi Dor Le Dor” in Sala Servi e in programma oggi dalle 16 alle 18, Piero Curiel  - già primario all'ospedale di Prato dal 1981 al 2004- condividerà il suo doloroso ricordo. “Non rammento esattamente – racconta – come mio padre sia riuscito ad assicurarsi un nuovo alloggio. So che ci ritrovammo in via Carducci, davanti allo stabile numero 13. In quell’edificio esisteva un appartamento disabitato perché i proprietari erano sfollati per paura dei bombardamenti. Sul portone c’era la famiglia Saba: lo scrittore, la moglie e la figlia Linuccia, compagna di studi di mio padre. Anche i Saba erano fuggiti da Trieste per problemi razziali, sebbene il poeta avesse soltanto la madre ebrea. Il primo ricordo che non si è cancellato è quello del numero dello stabile. Umberto Saba, piuttosto superstizioso, non voleva mettere piede in quell’edificio contrassegnato dal 13, e la moglie e la figlia dovettero convincerlo a cedere alla necessità.” Piero ricorda anche che dalla finestra si poteva scorgere la cupola della Sinagoga, elemento che, per tranquillizzare il poeta, fu reinterpretato come appartenente a una chiesa greco-ortodossa. Nella stessa casa, Umberto Saba trovava conforto conversando, seduto su un materasso steso in terra, con amici, come il poeta Eugenio Montale e il professore Ranuccio Bianchi Bandinelli, che discutevano con lui di letteratura e filosofia, e lo distraevano dal grigiore di quei mesi spaventosi. Pur non approfondendo i traumi personali, Piero ammette che le sensazioni di piccolo fuggiasco, braccato da uomini in divisa da SS e da fascisti hanno lasciato un segno indelebile, come in ogni bambino ebreo perseguitato, imprigionato nel cerchio soffocante della paura. Ricorda ancora con vivida emozione il giorno in cui, tra repubblichini e tedeschi, cento uomini compirono una retata al tempio di via Farini, un episodio che ancora oggi incarna l'angoscia di quei tempi. Questa testimonianza, intrisa di dolore e resilienza, offre uno spaccato della disperata fuga dalla persecuzione e dell'agonia di un'epoca buia, che continua a vivere nei ricordi di chi, come Piero Curiel, ha vissuto in prima persona quel dramma e che sente il dovere di trasmetterlo “Mi Dor Le Dor”, di generazione in generazione. Caterina Ceccuti