Firenze, 28 dicembre 2022 - Cenone di San Silvestro o pranzo di Capodanno che si voglia fare per festeggiare l’addio al 2022 e il benvenuto al 2023, per simboleggiare la fine e il nuovo inizio si dice ci voglia qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo. Come adattare anche a tavola questa usanza? Con un menù che faccia perno sulla tradizione, che per noi è ovviamente quella toscana, ma lasci spazio anche a una rivisitazione, rispettando, s’intende, i parametri della toscanità.
E se la credenza vuole che si consumino 13 portate per avere un nuovo anno fortunato, noi proponiamo tre menù, ognuno composto da antipasto, primo, secondo e dolce, per un totale di dodici piatti. E il tredicesimo? Ma sono ovviamente le lenticchie, di cui ne va mangiata almeno una se si vuole buona sorte. Neanche a dirlo, deve essere toscana anch’essa: le nostrane non avranno la stessa fama delle altre sorelle etrusche di Castelluccio, in Umbria, o di Onano, nell’Alto Lazio, ma sono ugualmente legumi di estrema qualità, con microproduzioni locali. Sta riscuotendo un successo sempre maggiore la lenticchia toscanella, le cui coltivazioni sono fatte nei terreni argillosi della Valdorcia e della Valdarbia e in piccolissime quantità anche nel Pisano, grazie alla paziente opera di tutela e rilancio di questo prodotto di aziende come l’agricola Del Colle.
Menù classico, ma in chiave toscana
Crostini, cappelletti, zampone e fichi secchi
I crostini non hanno bisogno di presentazioni in Toscana: di fegatino o milza a seconda delle tradizioni familiari, con cappero, acciuga, odori ed eterna diatriba se si voglia sfumare col vinsanto, secondo tradizione aretina, con il rosso, come vogliono i fiorentini, o con il bianco, come ai confini con Umbria e Lazio. Ma se vogliamo sincretizzare tre must della toscanità in unico piatto, proviamo a fare dei crostini di pane toscano, o ancor meglio dei coccoli (o panzanelle come vengono chiamate in Versilia) da abbinare a impasto dei crostini e fettina di finocchiona. La discussione se di questo salume povero sia meglio la versione mugellana, senese o casentinese la lasciamo a voi: noi ci gustiamo questa bomba calorica e di gusto.
Cappelletti sì, ma in Toscana non ci sono mica solo quelli in brodo, che si trovano soprattutto sull’Appennino per influenza romagnola. Ne abbiamo una versione tutta nostra che i cugini al di là del Muraglione manco sanno cosa sia: i cappelletti camaioresi, che a Viareggio chiamano anche cappelli di Pinocchio, per la loro forma: sono pasta secca che ancora producono alcuni pastifici locali come la Mennucci di Ponte a Moriano. Si riempie ogni cappellino con un impasto di uovo, formaggio, pochissima mollica di pane e avanzi di salumi tritati, magari mortadella o prosciutto cotto; poi si accoppiano a formare una sorta di “disco volante” e si tuffano in acqua bollente: come per magia si uniranno e rimarranno attaccati. Tradizionalmente si condiscono al ragù, e se vogliamo essere proprio camaioresi inside, li ripieniamo con salumi sì, ma della frazione collinare di Gombitelli, nota per le sue eccellenze.
Zampone modenese? Sì, certo, e la Montagna pistoiese per prossimità ne assorbe la produzione con ottimi risultati, pur essendo fuori dall’Igp. Ma anche qui abbiamo la nostra versione puramente toscana, che nulla ha da invidiare: è lo zampone chiantigiano, che è pure riconosciuto come prodotto tradizionale; è presente infatti nell’elenco nazionale approvato dal Ministero dell'agricoltura e della sovranità alimentare come Pat (Prodotto agroalimentare tradizionale) e ha un suo disciplinare di produzione stabilito dalla Regione Toscana.
Se qualcuno vuole offendervi dicendovi “non vali un fico secco”, prendetelo piuttosto come un complimento. Perché il dolcissimo frutto settembrino, diventa ancora più dolce e buono aperto nel mezzo e dopo una affumicatura su stuoie di canniccio con vapori di zolfo per preservarne la salubrità, seccati al sole cinque giorni e poi lasciati maturare almeno altri 35. Quelli che sceglieremo noi sono i pregiati e quasi spariti fichi secchi di Carmignano, che vengono prodotti con successo non solo all’ombra della rocca che si dice fatta edificare dal vescovo Ildebrando anche nella contigua Poggio a Caiano: una delle loro caratteristiche è che sono accoppiati a “picce” con un semino di anice nel mezzo. Vuoi non berci un Sassolino della Guiducci di Ponsacco insieme per sfondare il tutto e rimanere in tema?
Menù toscano.. rivisitato
Crostini di polenta con biroldo, tortelli di castagne con funghi, coniglio ripieno, salame di cantuccini e cioccolato
Il biroldo è un tradizionale salume povero della provincia di Lucca, a base di testa di maiale lessata e disossata e sangue di maiale. Era ciò che rimaneva al contadino, che si ingegnava per prepararne qualcosa di squisito e conservarlo. Ce n’è una versione per ogni vallata: in Garfagnana sono convinti sostenitori dei pinoli dentro, a Lucca non ne vogliono sapere. Sul finocchio si trovano tutti d’accordo. Poi c’è chi ci mette la buccia d’arancia, chi l’aglio, i chiodi di garofano e chi a parer di chi scrive, sciupa tutto con la cannella. Provate a friggere (o abbrustolire se proprio volete levare qualche caloria) dei quadratini di polenta e appoggiarci sopra una fetta di biroldo a struggere finché è caldo: un giulebbe.
Per preparare i tortelli di castagne, neanche a dirlo, è importante la qualità della castagna. Quelle del Casentino sono sempre una garanzia, quelle del Mugello pure, ma non c’è montagna in Toscana che non abbia la produzione di questo frutto che per millenni ha sostentato le popolazioni per tutto l’inverno. Per la pasta useremo 40% farina di castagne, 60% farina bianca e un uovo per etto di farina, per il ripieno un uovo e 4 etti di castagne lessate e sbucciate (ballotte), un etto e mezzo di ricotta e uno di parmigiano o pecorino. La pasta va fatta riposare un’ora prima di stenderla. Poi si procede come dei tortelli qualsiasi. Il sugo dei funghi deve essere in bianco (il pomodoro mal si abbina con le castagne) e se non piacciono i funghi, per rimanere in tema montagna, si possono condire con una fondue di formaggio Gran Mugello o pecorino del Casentino.
Altro che coniglio ripieno del supermercato! Disossate (o fatevi disossare dal pollivendolo) un coniglio e ripienatelo da voi: dentro un impasto di due etti macinato di manzo, qualche avanzo di salume come un fondino di prosciutto cotto o mortadella, una carota, una cipolla, una costa di sedano grande, due spicchi d’aglio, un paio di rametti di prezzemolo, due uova, un etto di parmigiano, due fette di pane toscano raffermo ammollato in cucchiai di latte, qualche foglia di salvia e scorzetta di limone, sale e pepe, macineremo tutto e andremo a farcire. Aggiungeremo poi un terzo uovo sodo, sgusciato, al centro. Chiuderemo poi il coniglio pazientemente con spago da cucina e stecchini da denti e lo possiamo cuocere sia in forno, che, per un risultato ancor più succoso, al tegame tirato a cottura con vino bianco.
Il salame di cantuccini e cioccolato è uguale al salame di cioccolato che impariamo a fare da bambini con i biscotti, come prima ricetta: solo che frantumarli sarà un po’ più arduo! Quindi veloce passata in mixer e via. Il tocco dello chef toscano? Mentre struggiamo il cioccolato… qualche cucchiaio di vinsanto.
Menù di pesce… toscano
Zuppetta di arselle, farfalle al sugo di trota della Garfagnana, filetti di spigola in carpaccio; il dolce, via, arrivateci da soli
Le arselle non sono vongole! Chi può le pesca da solo con il rastrello. Per un buon risultato, la prima raccomandazione è spurgarle bene: vanno messe a mollo in una zuppiera colma d’acqua e sale per almeno quattro ore, cambiando l’acqua 4-5 volte finché continuano a fare sabbia. Poi si elimina tutte quelle rotte e si sciacquano nuovamente sotto l’acqua. Ora si possono mettere in un sughino che avremo precedentemente preparato con aglio prezzemolo, peperoncino, vino bianco e pomodoro. Si fanno cuocere a fiamma forte con il tappo: quando si saranno aperte, sono pronte. Si servono su fette di pane abbrustolito e agliato, con un ulteriore battutino di prezzemolo a crudo sopra.
Per il sugo di trota, di cui la Garfagnana è il produttore nazionale di miglior qualità, sfilettiamo (o facciamoci sfilettare dal pescivendolo se non siamo capaci) una trota di media grandezza ogni tre persone. Facciamo i filetti a pezzetti. Soffrittino di aglio e prezzemolo, aggiungiamo le trote, sfumata di con vino bianco e poi o pomodorini, o passata a piacimento. Si scola al dente e si salta la pasta. Anche qui il battutino di prezzemolo a crudo è un tocco di classe.
La spigola è un pesce pregiato allevato nel nostro Arcipelago Toscano. Ma questa ricetta, facile, leggera e adatta ai buffet, la potete fare con il vostro pesce preferito, anche con i pregevoli ma purtroppo meno conosciuti pesci d’acqua dolce. Eccezionali con il coregone del lago di Bolsena, che è in Lazio per pochi chilometri: nei mercati della bassa Maremma toscana, al confine con la provincia di Viterbo, è facile trovarlo. Cuocete i filetti al vapore. Tagliateli a pezzetti più piccoli e fateli marinare per mezza giornata coperti da olio extravergine di oliva (toscano, ovviamente), aceto del contadino che ha tutto un altro sapore, pepe e cipolla affettata sottile. Poi disponeteli su un piatto di portata con rucola, Grana (o Gran Maremma) a scaglie e regolate di sale.
E dopo una cena di pesce in Toscana… come concludere? Bah, che domanda: con il dessert Versilia!
Buon anno, ma soprattutto, buon appetito.
Carlo Casini