Firenze, 17 gennaio 2025 - Lost Highway. Già, perché non era difficile perdersi nel cinema di David Lynch, tra menti che cancellano e uomini elefante, fuochi che camminano e cadaveri insepolti, cuori selvaggi e tagliaerbe a motore, Club Silencio e red rooms. E' una scatola blu la sua filmografia, misteriosa e inafferrabile come quella di "Mulholland Drive", un cubo di Rubik che vacilla e poi esplode in un collage impazzito di visioni allucinate e grottesche: "Inland Empire", nel 2006, fu il suo ultimo capolavoro per il grande schermo, trasformato ancora una volta nel palcoscenico dell'inconscio, l'impero della mente umana, in bilico costante tra amore e violenza, meraviglia e orrore.
Oggi che il genio di Missoula, in Montana, ci ha lasciato a 78 anni dopo un lungo enfisema da fumatore incallito che l'aveva costretto alla completa inattività, non è semplice fare un bilancio della sua eredità: ci proverà il cinema Giunti Odeon lunedì sera, proiettando la versione originale restaurata e sottotitolata in italiano di "Mulholland Drive", il noir psicologico con Naomi Watts e Laura Harring che la BBC consacrò come il film più importante del XXI secolo. Ci tentiamo anche noi partendo da qualche numero: quattro volte candidato all'Oscar come miglior regista senza mai vincerne uno - se non quello alla carriera tributatogli nel 2020 - la Palma d'oro per "Cuore selvaggio" nel 1990 consegnata da un entusiasta Bernardo Bertolucci in qualità di presidente di giuria, e il Leone d'Oro alla carriera nel 2006, il talento del maestro americano venne notato molti anni prima da un regista molto distante da lui come Mel Brooks, che dopo aver visto il folle "Eraserhead" decise di produrre il progetto di "The Elephant Man", con un irriconoscibile John Hurt nel ruolo del deforme e poetico John Merrick, umiliato e vituperato da tutti ad eccezione del dottor Frederick Treves (Anthony Hopkins) e della nota attrice teatrale Madge Kendall (Anne Bancroft).
Ma il "fenomeno Lynch" è legato indissolubilmente a uno dei misteri più insolubili degli anni Novanta: chi ha ucciso Laura Palmer? Trasmessa in due stagioni da ABC - in Italia arriverà per la prima volta su Canale 5 nel 1991 con una media di dieci milioni di telespettatori a puntata - la serie ideata con Mark Frost - seguita nel 1992 dal controverso prequel "Fuoco cammina con me" - raccontava le indagini in trasferta del detective Dale Cooper (Kyle MacLachlan, già protagonista del precedente "Blue Velvet" con la nostra Isabella Rossellini), impegnato a scoprire i responsabili dell'omicidio della giovane figlia dell'avvocato Leland Palmer nella misteriosa quanto bizzarra cittadina immaginaria di Twin Peaks, situata nello Stato di Washington, a due passi dal Canada: le musiche di Angelo Badalamenti, l'atmosfera inquietante e grottesca, lo stile campy e i ritratti melodrammatici dei personaggi che facevano la parodia delle soap opera anni ottanta lo trasformarono in un instant cult, segnando la svolta seminale di un approccio più maturo e autoriale al prodotto audiovisivo. Lynch tornerà tanti anni dopo sul luogo del delitto, girando nel 2017 la terza stagione in diciotto episodi.
Politicamente libertario e culturalmente anarchico, fu artista visuale a 360 gradi - le sue opere da pittore sono esposte al Museum di Modern Art a New York e al Pennsylvania Academy of the Fine Arts di Filadelfia - e creatore instancabile di immagini oniriche ed enigmatiche quanto composte e malinconiche - come quelle del fordiano road movie "Una storia vera" (1999), con Richard Farnsworth - ma le sue visioni non furono mai disgiunte da una coscienza tragica dell'uomo e della società: le frustrazioni sociali e le ossessioni erotiche disperate di Diane Selwyin (Naomi Watts), attricetta che cerca di scavalcare il Mulholland Drive per raggiungere i ricchi divi del Sunset Boulevard, come del musicista jazz Fred Madison (Bill Pullman), protagonista di "Strade perdute", sono figlie di quella grande fabbrica di illusioni chiamata America. Lynch lascia quattro figli avuti da altrettante mogli e un vuoto incolmabile per intere generazioni di cinefili e semplici appassionati della settima arte, ma come amava ripetere, "tieni gli occhi sulla ciambella, non sul buco".