MAURIZIO COSTANZO
Cronaca

13 gennaio 1999, il giorno del secondo addio al basket di Michael Jordan

Se nel calcio si dibatte su chi sia stato il più grande tra Pelé e Maradona, nel basket il dubbio sul migliore di sempre non esiste: è 'Air' Jordan

Michael Jordan (foto Ansa)

Firenze, 13 gennaio 2024 - Se nel tennis ci si divide tra fan di Federer e Nadal e nel calcio si dibatte su chi sia stato il più grande tra Pelé e Maradona, nel basket il dubbio sul migliore di sempre non esiste: è 'Air' Jordan. "Ha reso l'NBA e lo sport professionistico ciò che sono oggi, a livello globale. Prima dei contratti milionari, delle dirette televisive e del valzer degli sponsor, pochi fuori dagli Stati Uniti seguivano sui media le partite dell'NBA. Poi arrivò lui", ha scritto il premio Pulitzer David Halberstam, biografo del campione nato a Brooklyn. E tutto cambiò. Nonostante si fosse ritirato dall'attività per un paio d'anni (1993-1995). Numeri e risultati che spiegano perchè MJ è stato uno spartiacque della pallacanestro. Era il 13 gennaio del 1999 quando, a pochi mesi dalla storica vittoria alla finale tra i Chicago Bulls e gli Utah Jazz, Michael Jordan, punta di diamante dei Chicago, annunciò il suo secondo ritiro dal basket professionistico . Ma non era la parola "fine" alla sua carriera, perché appena due anni dopo ritornò nella stagione 2001-2002. A Chicago gli hanno dedicato una statua che è una delle attrazioni più visitate, anche tra gli aborigeni o negli angoli più sperduti dell'Africa è possibile imbattersi in qualcuno con la canottiera n.23 dei Bulls. 'His Airness' (un altro dei suoi soprannomi) è nato figlio di James Jordan, un operaio della General Eletric che l'avrebbe voluto una stella del baseball. Fu ucciso nel 1993 con un colpo di pistola calibro 38 al petto, nelle campagne della Carolina del sud. Forse una rapina finita male, oppure un tentativo di rapimento per chiedere un riscatto al già ricchissimo figlio. Comunque sia, MJ amava il canestro e la voglia gli rimase anche dopo l'esclusione dalla squadra in seconda liceo. Per un anno si allenò da solo e a 19 era già considerato un 'mostro' trascinando North Carolina al titolo universitario con un tiro decisivo a pochi secondi dal termine della finale. A 21 si prese il suo primo oro olimpico, a Los Angeles, mentre due anni dopo, al termine di una partita dei playoff al Boston Garden vinta da Chicago grazie ai 63 punti della sua 'stella', fece dire a un grande come Larry Bird: "Quello non era Jordan, ma Dio travestito da Jordan". È stato la personificazione del concetto di Dream Team. Se non fossero esistiti Muhammad Ali e il suo immenso carisma, alla fine del 2000 Jordan sarebbe stato quasi sicuramente insignito del titolo di 'Atleta del secolo'. Da giocatore, è stato capace di 'galleggiare' in aria prima di scoccare un tiro in sospensione, battere la forza di gravità per fare una schiacciata spettacolare, perfino più di quelle del suo idolo dell'adolescenza, 'Doctor J' Erving. Del resto, a parte schemi e 'triangoli' di coach Phil Jackson, i Bulls, fin dai tempi del precedente tecnico Doug Collins, hanno sempre avuto una soluzione di riserva per attaccare il canestro: "Palla a Jordan, e gli altri fuori dalle scatole". 'Air' è diventato un brand da 10 miliardi, e nel 2002 ha pagato 168 milioni di dollari il divorzio dalla moglie Juanita Vanoy. È stato una moda che ha affascinato milioni di ragazzi: "be like Mike" non era solo un fortunato slogan pubblicitario. Quando tornò al basket, 17 mesi dopo il suo primo ritiro, fu un delirio, anche se per poco dovette lasciare il suo magico 23. Nasce oggi Marco Pantani nato il 13 gennaio del 1970 a Cesena. Con le sue imprese nelle gare di montagna, fece sognare gli appassionati di ciclismo. Nel 1998 vinse Giro d'Italia e Tour de France, ora siede nell'olimpo dei grandi corridori di sempre. Oggi avrebbe compiuto 54anni. Ha detto: “Il ciclismo a me piace perché non è uno sport qualunque. Nel ciclismo non perde mai nessuno, tutti vincono nel loro piccolo, chi si migliora, chi ha scoperto di poter scalare una vetta in meno tempo dell'anno precedente, chi piange per essere arrivato in cima, chi ride per una battuta del suo compagno di allenamento, chi non è mai stanco, chi stringe i denti, chi non molla, chi non si perde d'animo, chi non si sente mai solo. Tutti siamo una famiglia, nessuno verrà mai dimenticato. Chi, scalando una vetta, ti saluta, anche se ti ha visto per la prima volta, ti incita, ti dice che "è finita", di non mollare. Questo è il ciclismo, per me”.