
Un corteo per la Festa della Liberazione
Ottant’anni fa la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Una data fondamentale per il nostro Paese che dopo poco sarebbe diventato una Repubblica ed avrebbe avuto, per la prima volta nella storia una Costituzione, grazie a libere elezioni che, anche in questo caso per la prima volta, avrebbero visto la partecipazione al voto delle donne. Abbiamo di questa ricorrenza con Vania Bagni, presidente dell’Anpi di Firenze.
Che significato ha oggi il 25 aprile?
“La festa della Liberazione ha sempre un enorme significato perché ricorda il momento in cui l’Italia si è finalmente liberata, dopo tanti anni, dopo il fascismo, da un conflitto mondiale. E mantiene il suo valore e la sua forza se non ci abbandoniamo al semplice ricordo del passato, ma rendiamo la giornata l'occasione per ragionare sul presente e sul futuro, sulla speranza di restare sempre un Paese libero e democratico. In un mondo segnato da guerre, crisi sociali ed economiche il 25 aprile ci porta a ricordare che la pace e la libertà vanno difese ogni giorno; l’eredità della Resistenza, ci chiama a lottare per i diritti umani e contro le discriminazioni, a prendere cura dei valori fondamentali come la giustizia, l'antifascismo, i diritti civili e i diritti sociali, in contrasto con chi cerca di riscrivere la storia o di relativizzare il fascismo”.
Intorno alla liberazione dal nazifascismo c’è una grande retorica che ciascuno tira dalla sua parte, cosa fu davvero quel movimento?
“La Resistenza fu un'esperienza collettiva, di grande solidarietà, e partecipazione responsabile; fu un fenomeno complesso che comprendeva la lotta armata sulle montagne, le insurrezioni e le azioni clandestine nelle città. Composta da gruppi di partigiani formati da operai, studenti, contadini, militari e antifascisti di ogni orientamento politico, venne organizzata nelle fabbriche, in partiti ridotti alla clandestinità, con il sostegno della propaganda politica di fogli stampati e distribuiti illegalmente. Molte donne ebbero ruoli di protezione dei partigiani: li nascondevano, li curavano, portavano loro i viveri nei nascondigli, si preoccupavano della loro sopravvivenza. Altre, in numero minore, parteciparono direttamente alla lotta armata. Fu una scelta di lotta per la costruzione di un nuovo ordine politico e sociale i cui obiettivi erano voglia di libertà, di giustizia sociale, per la democrazia, la patria, la pace, contro qualsiasi forma di disumanità che avevano conosciuto con il fascismo; tutti temi che riguardano pesantemente anche il presente e che dovrebbero farci riflettere e capire che necessita una maggiore determinazione per riprendere la strada della Costituzione”.

Lei appartiene già ad una generazione di persone che quella guerra non la combatterono, c’è il rischio che la memoria si perda?
“È un pericolo che dobbiamo scongiurare soprattutto perché abbiamo umanamente bisogno di riferimenti positivi per tenere aperta la speranza verso un futuro migliore. Il dibattito sulla memoria storica è sempre vivo, c’è chi cerca di riscrivere la storia o di relativizzare il fascismo, rendendo ancora più importante conoscere e non dimenticare. Il 25 aprile è un momento imprescindibile di memoria collettiva, rappresenta l’Italia che decide di voltare pagina e costruire una nuova identità democratica; non possiamo perdere il suo carattere di esperienza unica perché un Paese democratico ha bisogno di ricordare le date fondamentali della propria esistenza, e deve farlo non con una memoria “statica” ma come occasione per guardare il presente e correggere gli errori che ci allontanano dalla ragione dell'esperienza partigiana e antifascista. E dobbiamo festeggiare la Liberazione ricordando il potentissimo senso etico di quell'esperienza per cercare la pace nella giustizia sociale e per costruire un’Europa innovatrice e costruttrice di ponti, come diceva Alex Langer e non di muri, di pace e non di guerra, di uguaglianza e inclusione sociale; questa deve essere oggi la nostra Resistenza. Fare memoria è conoscere le storie del passato, farle nostre e muovere empatia con quanto accaduto perché si possa arrivare a cambiare noi stessi e il presente; è un atto civile, e una responsabilità che ci prendiamo guardando al futuro”.
Cosa bisogna fare per uscire dal rischio della retorica celebrativa?
“Attualizzare il senso di quell'esperienza e renderla viva; trasformare la memoria in azione, lavorare in coerenza facendoci guidare dai principi di quell'esperienza tradotti nella Costituzione. Tornare a restituire il senso alle parole, per esempio PACE significa vivere senza guerre; armarsi è esattamente il contrario, ed aprirsi al mondo e superare le paure costruite dalla narrazione che vuole il pieno controllo sulle persone rendendoci nemici gli uni verso gli altri. Significa prendersi cura di noi stessi, rispettare l'ambiente nella piena consapevolezza che il futuro va coltivato e costruito in una dimensione collettiva, sentendoci a pieno titolo parte di comunità solidale”.

Come interpreta i tempi correnti?
“C'è un'evidente emergenza democratica alla quale si deve rispondere usando i fondamentali della democrazia lasciandoci guidare dal valore fondante che è l'antifascismo, la garanzia dei diritti e l'uguaglianza; è importante guardare al presente con altre lenti e le istituzioni ed i partiti, che sono la radice del sistema per cui il partigianato ha lottato, hanno la responsabilità ed il dovere di rispondere e di agire secondo i principi costituzionali. E con lo stesso sguardo considerare il fascismo come tendenza presente che se manifesta nella soppressione delle libertà individuali, nel crescente aumento delle disuguaglianze, nella soppressione dei diritti sociali, nel permettere che in pochi detengano la gran parte della ricchezza economica del mondo che stanno affamando, rendendolo sempre più fragile. Per non abbandonare il 25 aprile alla retorica dobbiamo utilizzare quella memoria per impegnarci a combattere ogni fascismo che si annida nel nostro presente, e restituire all'antifascismo, che resta un fenomeno politico vitale che unisce forze e culture politiche differenti, il suo posto nella società di cui ha scritto la Costituzione”.