LUCA
Cronaca

25 marzo 1867: nascita di Toscanini. Il ricordo di un mito contemporaneo per l’anniversario dei cento anni. Quel Maggio dedicato al maestro

Leonardo Pinzauti scriveva per "La Nazione" come critico di musica sia antica che contemporanea. L’articolo del 25 marzo 1967 ripercorre la storia di uno tra i più grandi compositori e direttori della storia.

25 marzo 1867: nascita di Toscanini. Il ricordo di un mito contemporaneo per l’anniversario dei cento anni. Quel Maggio dedicato al maestro

Leonardo Pinzauti era nato nel 1926 a Firenze ed è stato per lungo tempo critico musicale per La Nazione

Per chi ha conosciuto personalmente Arturo Toscanini, l’immagine di una celebrazione "centenaria" di lui a momenti sorprende; soprattutto perché il grande maestro è ancora presente in mezzo a noi, non soltanto attraverso il ricordo meccanico delle sue incisioni discografiche e dei suoi nastri, ma proprio con la sua immagine concreta di uomo: il suo gesto, la sua voce, il suo modo di vestire, e poi il suono diretto certo irripetibile an- che nella più perfetta edizione discografica, la pungenza del suo modo di "suonare l’orchestra".

E questo ricordo di lui vivo, sul podio della Scala, in alcune memorabili serate del dopoguerra, ha fatto sì che l’immagine di Toscanini sembri avvolta, ora, in un mito che non riesco a seguire: come se avessi conosciuto un personaggio misteriosamente contemporaneo, insieme legato a un Ottocento garibaldino e al nostro tempo, con i suoi problemi morali, estetici e politici.

Il fatto stesso che abbia potuto ascoltare da lui, in un’indimenticabile serata milanese, una dolce conversazione sulla "signora Giuseppina", la moglie di Verdi, e tanti pacati giudizi — negativi, alcuni, e ricordo quanto mi dispiacque sulla Lulu di Berg, su Walter e sul "giovane" Mitropoulos, mi riempie ancora di stupore: il "grande vecchio della musica", l’uomo che ricordava le stagioni del primo Novecento al Massimo di Palermo, al Colon di Buenos Aires e alla Scala — e compiangeva questo o quel maestro scomparso che aveva lavorato mezzo secolo prima con lui, e leggeva nella memoria i nomi di decine di cantanti, esatto come un cartellone —, l’uomo che aveva bevuto il caffè preparato dalla "signora Giuseppina" (perchè "il maestro Verdi" lo prendeva prima di andare a letto, e la Strepponi l’offriva anche al giovane Toscanini che andava a fargli visita dopo cena), era lo stesso che, fra i primi, era diventato un assiduo cliente delle linee aeree transatlantiche; ed era lo stesso che stava seduto lì, accanto a me, a parlare con la Tebaldi ("voce d’angelo — come scrisse sullo spartito della Messa di Requiem di Verdi che il soprano gli fece firmare) con la moglie di Cantelli e con Cesare Siepi. Con gente più giovane di lui di sessant’anni, insomma, ai quali appariva nell’aspetto biblico del "vir sapiens" (che "omnes judicat et a nemine judicatur") e nello stesso momento come una presenza viva, "contemporanea", proprio perché si opponeva ai nuovi idoli del dopoguerra e alle "deformazioni" del suo gusto, e ti parlava di A sera di Catalani, con insistenza polemica, come di una grande, calibratissima pagina di "musica moderna".

Toscanini, dunque, emanava un che di misterioso — di antico e di nuovo, insieme — che non si potrà rievocare: il disco, il documento scritto non saranno che pallide immagini della sua presenza viva sul podio; eppure le testimonianze di quelli che lo conobbero, piccole o grandi che siano, certamente hanno influito sul nostro costume, sulla nostra educazione, sulla nostra capacità di reagire di fronte all’opera d’arte; formando una rete fittissima, in ogni parte del mondo, che inconsapevolmente agisce come un filtro, spesso severo e quasi terribile.

Lo vidi alla Scala nel 1950, e potei assistere all’antiprova generale, alla prova generale e a due esecuzioni del Requiem verdiano. Ero venuto da Firenze insieme con Virgilio Doplicher, musicista umilissimo quanto saggio, che si ricordava di Toscanini a Trieste, prima della guerra 1915-18, quando il suo nome appariva di tanto in tanto insieme con quello di Gustav Mahler e di Arthur Nikisch. E Doplicher, pensando al Toscanini di un Crepuscolo degli Dei che gli aveva fatto un’impressione travolgente, mi diceva: "Creda, un po’ mi di- spiace di venire a Milano; in fondo penso che si tratterà di onorare un grande vecchio; non è possibile, a più di ottant’anni, che sia ancora come l’ho sentito io".

Ma nel buio di un palco della Scala, appena dieci minuti dopo l’apparizione di Toscanini sul podio, sentii la voce di Doplicher che, con un sussurrare teso e improvviso, mi diceva: "È come pri- ma... è come prima... " .