Gli affitti brevi sono una forma di locazione sempre
più diffusa, ma comportano obblighi fiscali specifici che i proprietari devono rispettare. In Italia, il principale regime fiscale applicabile è la cedolare secca, un’imposta sostitutiva con aliquota
al 21%. Questa tassa
si applica sui redditi derivanti dagli affitti brevi ed è valida per contratti con persone fisiche al di fuori
dell’esercizio di attività d’impresa, con una durata massima di 30 giorni consecutivi per lo stesso inquilino. In alternativa,
se non si sceglie la cedolare secca o se non si rispettano
i requisiti previsti, i redditi derivanti dagli affitti brevi vengono tassati secondo il regime ordinario. In questo caso, rientrano nei redditi fondiari (o in quelli d’impresa se l’attività è imprenditoriale) e sono soggetti alle aliquote progressive dell’Irpef.
Un altro obbligo fiscale legato agli affitti brevi è l’imposta
di soggiorno, che il proprietario deve riscuotere dagli ospiti per conto del comune e versare entro i termini stabiliti. Per quanto riguarda l’Iva, gli affitti brevi offerti da privati sono generalmente esenti. Tuttavia, nel caso di attività gestite in modo professionale,
come nel caso di aziende o intermediari che operano con più immobili, l’Iva può essere applicata secondo le regole previste.
Un ulteriore costo per i proprietari riguarda l’Imu, che è dovuta per gli immobili destinati agli affitti brevi se non costituiscono abitazione principale. Infine, c’è l’obbligo della ritenuta d’acconto per chi percepisce i canoni tramite piattaforme come Airbnb o Booking. Questi intermediari trattengono e versano una ritenuta del 21% sul canone di locazione, che viene poi indicata nella dichiarazione dei redditi del locatore.
mo.pi.