FIRENZE
A Firenze, sin dal 2009, c’è una struttura che cura i maschi che alzano le mani. Si chiama Cam, Centro Uomini Maltrattanti. Lo ha fondato, per prima in Italia, e tutt’ora lo dirige, la psicologa Alessandra Pauncz.
I primi anni, i pazienti si contavano sulle dita di una mano. Oggi, sono diverse decine. Ha influito il periodo della pandemia, epoca in cui la conflittualità e la violenza domestica è esplosa, ma anche la sempre maggiore adozione, da parte dei giudici, della "condanna" a queste specifiche cure per ottenere benefici come la sospensione della pena.
"Nei primi anni gli uomini si dovevano presentare volontariamente - spiega la presidente Pauncz - e questo ci lasciava perplessi. Nei primi anni abbiamo avuto in cura una decina di persone. Che sono andate via via aumentando". Con il covid e l’apertura di sportelli in carcere e in altre città toscane, c’è stato il boom.
Nel 2022, erano sessanta i “maltrattanti“ seguiti soltanto a Firenze. E nel 2023, anche se i dati non sono stati ancora elaborati, sono aumentati ancora.
L’identikit del paziente. L’età media dei soggetti in cura al "Cam" è di 44 anni. Il 50% ha un lavoro, il 40% è ancora impegnato nella relazione, il 60% ha figli.
"I volontari arrivano volontariamente o per indicazione della moglie o della compagna, o di altri parenti o amici. Nei percorsi giudiziari veniamo contattati dall’avvocato. Ma chiediamo che sia comunque il diretto interessato a fare il primo passo".
La prima fase del percorso è fatta di una serie di colloqui, da tre a cinque. Solitamente il primo operatore con cui il “maltrattante“ ha il primo contatto è un uomo.
Successivamente, quando la terapia diventa di gruppo, c’è una co-conduzione della terapia fra operatori di sesso maschile e femminile.
Il percorso totale dura circa un anno. Ma ci sono anche degli scogli. Capita che insorgano delle recidive, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento. E in questo, il sistema presenta ancora delle falle. Il neonato disegno di legge Roccella non convince gli operatori: introduce, in assenza di linee guida, incontri bisettimanali e una certificazione finale di positività del percorso.
"Non tutti gli uomini riescono ad affrontare il percorso - dice Pauncz - e per questo dobbiamo essere in grado di raggiungere il magistrato. Visto che si parla anche di interventi per garantire la sicurezza è importante sviluppare protocolli, più che cambi normativi".
ste.bro.