
FIRENZE
Il processo a Dante Alighieri fu un "giusto processo" secondo le regole del tempo, ma le accuse a lui rivolte, e che gli costarono la condanna all’esilio da Firenze, "non erano pienamente fondate": è quanto emerso dalla ‘revisione’ del processo al Sommo poeta, effettuata ieri in un evento online, che si è svolto presso l’Educandato della Santissima Annunziata al Poggio Imperiale, patrocinato dall’Ordine degli Avvocati di Firenze e dal Comune di Firenze.
All’iniziativa, iniziata con il saluto del sindaco Dario Nardella, hanno preso parte anche Antoine de Gabrielli, discendente di Cante dè Gabrielli da Gubbio, il podestà di Firenze che pronunciò la sentenza di condanna all’esilio di Dante, e Sperello di Serego Alighieri, discendente del poeta.
A riaprire il caso è stato l’avvocato Alessandro Traversi, penalista fiorentino, che ha aperto il dibattito fra i giuristi, presieduto da Margherita Cassano, presidente aggiunto della Cassazione ed ex presidente della Corte d’Appello di Firenze: "Per le regole del tempo - ha detto Traversi - fu un giusto processo, celebrato secondo le regole vigenti", considerando che al tempo l’imputato ‘contumace’ era equiparato a un imputato reo confesso, ma "anche dal modo troppo generico con cui sono state formulate le imputazioni", fra cui baratteria (oggi equiparabile alla corruzione), influenze illecite per favorire i guelfi bianchi in danno di quelli neri che governavano la città, ed estorsione. "A nostro parere si deve ritenere che queste accuse fossero non pienamente fondate", ha concluso Traversi, e viziate da un pregiudizio politico.
Dante fu condannato nel 1302, e con la sentenza che l’obbligò all’esilio di fatto venne eliminato un avversario politico. Che divenne così l’altrettanto celebre ’ghibellin fuggiasco’.