di Olga Mugnaini
Ne mancano ancora due, ma ormai l’operazione “affittopoli dell’arte“ è conclusa.
Erano almeno una cinquantina gli inquilini che per un motivo o per l’altro si erano ritrovati a beneficiare di appartamenti a canoni irrisori in posti da sogno, come ad esempio all’interno del Giardino di Boboli, posto macchina e vigilanza assicurati. Gratis. Si dice che un “titolare“ dell’affitto fosse lì dal tempo del Granduca Leopoldo e che avesse tramandato, in pratica, di padre in figlio l’appartamentino nel parco mediceo, al pari di una sua proprietà privata. Di sicuro, nessuno fino ad ora l’aveva mandato via.
Nonostante le polemiche vadano avanti da anni, non c’era stato modo di riprendere le chiavi di questi lussuosi alloggi, neanche dopo un’inchiesta, la relazione degli ispettori inviati dal ministero, le indagini della Guardia di Finanza e l’intervento della Corte dei Conti.
In un modo o nell’altro, chi era alla guida della soprintendenza ai beni architettonici, che gestiva per delega del demanio quegli immobili, non era stato capace di far cambiar casa a chi non aveva, o non aveva più, alcun titolo per abitare nel complesso di Palazzo Pitti praticamente a sbafo, e in ogni caso ai danni dello Stato, visto che si tratta di patrimonio pubblico.
A comunicare che l’era dei privilegi è finita, è stato lo stesso direttore di Uffizi e Palazzo Pitti, Eike Schmidt, che utilizzerà tutti quegli spazi per attività e servizi connessi ai musei.
Alcuni anni fa, alla fine di una lunga e articolata di indagine condotta dai finanzieri del Comando Provinciale di Firenze, iniziata nei primi mesi del 2016, e tenuto conto degli affitti esageratamente al di sotto dei valori di mercato, era stato anche calcolato un presunto danno erariale che superava i tre milioni di euro.
Questi fortunati allocatari erano per lo più dipendenti, in servizio o in pensione, di livello apicale oppure di basso profilo, ma in ogni caso tutti usufruivano di super sconti. Si va infatti da soprintendenti, e poi ex soprintendenti e ai loro parenti; a giardinieri e a seguire alla vedova e ai figli dello stesso giardiniere e via di questo passo.
E’ così che un appartamento di 130 metri quadrati in piazza Pitti veniva affittato a un canone di appena 335 euro al mese, che a dir poco sul mercato avrebbe avuto il valore intorno ai 1.700 euro mensili.
Questi eletti non ritenevano neppure di usufuire di alcun privilegio. C’è stato persino chi, tirato per la giacchetta, ha domandato cosa mai si volesse da lui, visto che aveva persino riparato il tetto a sue spese.
In effetti si poteva fare anche di meglio: per una residenza di oltre 320 metri quadrati situata nel piazzale di Porta Romana, lo Stato, nella veste della Soprintendenza, si accontentava di 850 euro mensili, quando se ne sarebbero potuti chiedere, a prezzo di mercato, almeno 2.400.
Se tutti gli alloggi di Pitti e Boboli erano occupati, ci si poteva comunque accontentare di 62 metri quadrati nel monumentale edificio della Biblioteca Nazionale per appena 4mila euro all’anno. Spesso infatti, più che mensile l’affitto era calcolato in annualità. Ma sempre poco restava: un bell’appartamento di cento metri quadrati nel complesso di Palazzo Pitti, si poteva avere a 2.886,36 euro all’anno.
Anche riconoscendo che si tratta di immobili particolari, da non poter essere messi nel normale circuito immobiliare, i conti non tornano comunque.
All’epoca degli ispettori ministeriali, gli appartamenti fiorentini del Demanio sotto “inchiesta per gli affitti irrisori, erano 72, tutti all’interno dei siti museali del territorio e tutti in luoghi da mille e una notte: Palazzo Pitti, Boboli, Villa Medicea di Petraia, Villa Medicea a Poggio a Caiano, Scuderie Reali di Porta Romana, Villa Carducci Pandolfin, Villa Medica di Castello e il complesso Le Pagliere.
A Boboli e Palazzo Pitti il problema sembra risolto. E altrove?