Gigi
Paoli
Premesso che, come diceva mia nonna, me n’avanza il credere, vorrei anche aggiungere un sonoro "e ci mancherebbe pure". Il problema, però, è che i contratti per il personale, soprattutto nel settore del turismo e dell’accoglienza, sono spesso quantomeno creativi, per non dire peggio, nella loro applicazione sostanziale. Negarlo, come accade anche con un tono indignato da lesa maestà, sa solo di difesa corporativa, a meno che a Firenze non ci sia un sacco di Alice nel Paese delle meraviglie. Tanto per fare un esempio, ho letto una bella inchiesta sulla ricerca dei lavoratori stagionali in un’altra città molto turistica. Roba da far accapponare la pelle: turni di dieci ore 7 giorni su 7, niente giorno di riposo e una busta paga in cui vengono segnate meno ore e meno giorni perché la differenza – tutto normale nel Paese di Pulcinella – arriva in nero per dribblare la Finanza. Alla fine tutti contenti (il Fisco meno) e apoteosi di quello che un sindacalista ha definito, con un felice gioco di parole, il ’lavoro grigio’. Non nero, sporco, non bianco, in regola, ma grigio, a metà, un po’ qui e un po’ là, tipico della gens italica. Si risponderà: "Ah, ma a Firenze questo non accade". E lo si dirà sapendo di dire una bugia, perché come funziona ad esempio il mercato dei camerieri, in parte anche qui, lo sanno tutti: una sorta di caporalato 2.0 che rende la legge della domanda (spesso senza alternative, alla caccia di uno stipendio purché sia) e dell’offerta una sorta di ghigliottina. Ma come se n’esce? Alcuni sostengono che bisogna ridurre i costi del lavoro per le aziende ed è vero: se ne accorge ogni mese il lavoratore dipendente quando guarda la busta paga, dove il lordo è più del doppio del netto. Ma è come quando si dice che il costo della benzina è troppo alto per le mille accise che lo gonfiano: tutti sono d’accordo che quel prezzo è abnorme, ma lo Stato non rinuncerà mai a quei soldi facili. E tutto resta uguale. Ergo, poiché bisogna guardare a chi si comporta meglio di noi, inviterei a dare un occhio alla Spagna. Avevano gli stessi problemi nostri, su precarietà e disoccupazione giovanile, e hanno varato una profonda quanto semplice riforma del lavoro, guidata dalla ministro Yolanda Díaz: Madrid ha deciso di limitare fortemente l’utilizzo dei contratti a termine. Risultato? Impennata dei posti stabili: 700mila solo in aprile, il numero più alto di sempre. E da noi? A Roma, dicono, ci stanno pensando. Mettiamoci comodi.