
Lo scolmatore ha deviato l’acqua. Così Firenze e Pisa hanno respirato. .
Poche armi, ma affilate. Usate contro i colpi di una natura sempre più matrigna. A 48 ore dalla frustata di maltempo che ha picchiato sulla Toscana, con punte di 180 millimetri d’acqua caduti il 14 marzo in alcune zone della provincia di Firenze, cioè 180 litri per metro quadrato, il bilancio è da sospiro di sollievo. Specie per una regione dove il maltempo, in cinque anni, ha preteso un tributo di otto vite. Merito di un meccanismo che, stavolta, ha funzionato quasi come un orologio lasciandosi lo stesso alle spalle più di 1.400 evacuati, centinaia di persone isolate e danni per milioni di euro, ma ancora da quantificare. Ma la cavalcata feroce dell’Arno e dei suoi sette affluenti dopati dagli steroidi della pioggia, poteva causare ferite più profonde. La prima mossa che le ha sventate è scattata alle 20 di giovedì quando il bollettino di allerta meteo, prima arancione poi rosso, è arrivato in Regione.
Poco prima che le piogge iniziassero a flagellare il crinale appenninico dal quale le acque, scendendo, incontrano la diga di Bilancino a monte di Firenze, il contenimento dell’invaso è stato aggiustato. Usando il lago di Bilancino, a onore del nome, come una bilancia. In che modo? Lo ‘sfioro’ massimo, cioè la superficie dell’invaso è di 252 metri sul livello del mare. Giovedì sera era a 251 metri. La mossa: alzare le paratie della diga in modo da dare sollievo all’Arno e impedendo l’afflusso dell’acqua. Quel metro è stato importante visto che, moltiplicato per un invaso di 5 chilometri quadrati, è valso 10 milioni di metri cubi d’acqua sottratti al fiume. Il ’bonus’ si è esaurito intorno alle 13 di venerdì quando Bilancino, arrivato alla massima portata, ha ricominciato a sversare. L’effetto: pestare sul freno mentre si è lanciati a 200 all’ora.
Difficile frenare senza sbandare, ma la missione è riuscita visto che la portata massima dell’Arno a Firenze è stata di 1400 metri cubi al secondo, circa un terzo di quella che causò l’alluvione del 1966. L’altra arma è stata sfoderata alle 16 di venerdì a valle di Pontedera, Pisa. È qui che lo scolmatore d’Arno è stato riattivato per la prima volta dopo due anni. L’opera realizzata per ridurre la portata del fiume ha fatto sfogare il corso d’acqua, cercando di anticipare la piena di Pisa di otto ore. Vitale il bacino della Roffia, sempre nel Pisano con 130 ettari di superficie alluvionabile: una delle più grandi casse d’espansione dell’Arno. "Ma come lo scolmatore – spiega il governatore della Toscana, Eugenio Giani – deve essere usato nel momento di massima utilità. Non prima, altrimenti sarebbero volumi persi e colpi sparati male. Intanto la prima stima dei danni è di 100 milioni e da subito ho attivato i meccanismi dei rimborsi da tremila euro ciascuno". Il colpo è andato a segno mettendo la museruola ai morsi della piena nel momento del transito a Pisa nella mezzanotte fra venerdì e sabato. Così l’Arno all’alba ha terminato la sua cavalcata feroce nel Tirreno, gonfiandosi prima a 4 metri d’altezza a livello degli Uffizi di Firenze e sfiorando a 5 metri le spallette dei lungarni di Pisa. Poi il sospiro di sollievo. Senza vite da piangere.