Amanda Knox calunniò Patrick Lumumba, scrivendo in un memoriale le sue sensazioni sul coinvolgimento del proprietario del pub ’Le Chic’ di Perugia nell’omicidio di Meredith Kercher avvenuto l’1 novembre 2007. Così ha stabilito la Corte d’assise d’appello di Firenze, confermando la condanna a tre anni, precedentemente annullata dalla Cassazione. Dopo la lettura della sentenza, Amanda è rimasta per alcuni secondi in silenzio, impietrita, senza trattenere le lacrime. "Pensava che questa storia si sarebbe chiusa qui", ammettono i legali, Carlo Dalla Vedova e Luca Luparia Donati, preannunciando il ricorso alla Suprema Corte. Non prima, però, dei sessanta giorni che il tribunale toscano si è preso per scrivere le motivazioni.
Soddisfatto invece Lumumba. "La sentenza è giusta e meritata. Amanda mi ha pugnalato e non mi ha chiesto scusa", il suo commento. Oggi il musicista congolese vive in Polonia. In aula, a rappresentarlo, il suo legale Carlo Pacelli. La Knox era tornata in Italia per l’occasione, accompagnata dal marito Christopher Robinson. Ressa di telecamere e giornalisti da tutto il mondo erano ad attenderla al palazzo di giustizia di Firenze, dove, ieri mattina, è arrivata presto, in taxi, intorno alle 8.30.
Camicetta a manica corte, gonnellona a vita alta che non copriva il tatuaggio sopra la caviglia, un tacco non troppo alto ai piedi. Amanda non ha parlato prima del suo ingresso in aula e all’uscita ha evitato l’assalto dei media imboccando l’uscita solitamente utilizzata dai detenuti. Prima che i giudici si chiudessero in camera di consiglio, l’ex studentessa di Seattle aveva rilasciato dichiarazioni spontanee, parlando in un ottimo italiano. "Chiedo umilmente alla Corte di dichiararmi innocente", aveva concluso. "Ero una ragazza di 20 anni spaventata, ingannata, maltrattata dalla polizia – ha detto al tribunale –. Il 5 novembre 2007 è stata la notte peggiore della mia vita. Pochi giorni prima la mia amica Meredith era stata uccisa nella casa che condividevamo. Ero choccata, era un momento di crisi esistenziale. La polizia mi ha interrogata per ore in una lingua che non conoscevo. Si rifiutavano di credermi, mi davano della bugiarda, ma io ero solo terrorizzata. Non capivo perchè mi trattavano in questo modo, minacciandomi di farmi avere una condanna a 30 anni se non ricordavo ogni dettaglio. Un poliziotto mi ha dato uno scappellotto in testa dicendomi: ‘ricorda’".
Dopo quell’interrogatorio, scrisse poi un memoriale in inglese: è l’oggetto di questo processo, una sorta di ’revisione’ della precedente condanna a tre anni (già scontata) innescata da un ricorso dei legali di Amanda dopo la condanna dell’Italia alla Cedu per il diritto di difesa negato in occasione dell’arresto. Memoriale fatto di ricordi vaghi e sfocati che avrebbe scritto, ha detto ancora in aula, "per ritrattare le accuse contro Patrick: non sapevo chi era l’assassino. Patrick non era solo il mio capo al lavoro ma anche mio amico. Non avevo interesse ad accusare un amico innocente".
Ma la Corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza che il tribunale fiorentino aveva emesso il 30 gennaio del 2014. In quell’occasione, Amanda e Raffaele Sollecito furono condannati anche per l’omicidio di Meredith. Ma questa è un’altra storia, conclusasi per altro con l’assoluzione di entrambi, che il tribunale fiorentino ha volutamente tenuto lontana da questa discussione.
Però l’avvocato Francesco Maresca, legale della famiglia Kercher, una domanda se la fa. "Per chi e per cosa Amanda ha commesso la calunnia nei confronti di Patrick Lumumba? Questo caso giudiziario resta irrisolto. Non c’è ancora la verità sul perché Knox ha calunniato un innocente".