Firenze, 15 marzo 2022 - Anathol non è solo il fratello maggiore. Perché di quei piccini scarruffati da un ventaccio a meno dieci, ne ha presi un grappolo: due sulle spalle e due sotto braccio. E avanti a camminare, quasi correndo, per quattro chilometri, fino al pullman della vita, quello di Save the Children e del Consiglio italiano per i rifugiati. Con il suono ansiogeno delle sirene ancora dentro l’orecchio, altro dal rumore del mare nelle conchiglie. Ma non per questo Anathol è il loro eroe, il gigante buono. Lo è perché li ha sempre protetti, anche sotto le bombe che avevano fatto tremare l’orfanotrofio di Kiev.
Ha 17 anni e un passato da masticare lentamente per una sana digestione. E ora, finalmente in salvo, ospite con i 19 fratellini minori all’Istituto degli Innocenti, si preoccupa per il mal di schiena. Non un paradosso, ma una piccola richiesta d’attenzione. Alla dottoressa ha chiesto: ‘mi fa male qui, sono malato?’. Non è malato, Anathol. Il mal di schiena per il carico eccezionale di bambini portati in salvo in braccio svanirà presto, molto prima dei ricordi che ogni notte lo vanno a cercare anche nel letto a castello.
Erano scappati, dall’orfanotrofio. Perché la direttrice Svitlana aveva capito che quella casa si sarebbe trasformata presto in una tomba dove nessuno avrebbe portato un fiore. Sotto le bombe aveva chiamato gli aiuti umanitari. E nel frattempo aveva messo in fila i ragazzi, i bambini, per scappare fino al bunker.
Lì si sono persi, ammassati come sacchi di sale. Al buio. Senza un bagno. Con pochissimo cibo e un po’ d’acqua per sopravvivere cinque giorni. Cinque giorni di angoscia e stenti ma ce l’hanno fatta. Ne sono usciti tutti insieme, come tutti insieme avevano sopravvissuto agli abbandoni precedenti, alle famiglie perse, alle storie conficcate in fondo che riemergeranno, eruttando o a piccole gocce.
Francesca Gola è la pediatra convenzionata con l’Asl (con una grande esperienza coi bambini in fuga dalle guerre e quelli abbandonati) che sabato ha visitato i venti profughi arrivati venerdì sera agli Innocenti con la direttrice dell’orfanotrofio ucraino Svitlana e la sua collaboratrice appena diciottenne. "E’ stata una delle emozioni più grandi che abbia mai vissuto, non ci ho dormito: ho visto tante situazioni al limite, ma questi bambini sopravvissuti alle bombe sono stati un’ondata che mi ha travolta", racconta. Quando è entrata ha trovato i più piccini a giocare con le costruzioni, nelle camerette con i letti a castello. Egor, Oleksandr e Tumofij hanno tre anni, Alesia ne ha quattro, Nikita, Nadia e Danulo cinque. Loro che hanno visto la distruzione, ricostruiscono. "Non mollavano i cubi, c’erano montagne di giocattoli, ma loro continuavano a mettere un cubo sopra l’altro – racconta la pediatra Gola – La vita è più forte di qualunque altra cosa. I bambini hanno una resilienza eccezionale".
La dottoressa è dovuta entrare vestita da marziana, con lo scafandro anti Covid. Ma nessuno di loro l’ha trattata da aliena. "Camminavo a gattoni, stavo insieme a loro, li toccavo: sicuramente la più emozionata ero io".
Stanno bene i venti bambini e ragazzi. "Sono bellissimi, questo non l’abbiamo detto. Ben vestititi, curati, accuditi, in carne: in Toscana per l’accoglienza siamo straordinari, ma anche all’orfanotrofio di Kiev hanno avuto molte attenzioni, diversamente da altri bambini arrivati dall’Est per le adozioni loro non hanno quegli occhi spauriti e in fuga".
"Ciao", le hanno detto. E’ la prima parola italiana che hanno imparato. Con la mediatrice culturale Irina. "Io muovevo la mano, per fargli vedere la nostra gestualità dei saluti: sorridevano".
Gola racconta di re Artù Anathol, della grande cura che ha per i fratellini, di tutti i più grandi che aiutano i piccini, della grande famiglia che è il gruppo: "è lì che hanno trovato la forza, insieme". "Ora hanno bisogno di ritrovare la serenità, di ricreare il loro ambiente per non provocare altri strappi – spiega Gola – Poi arriveranno gli psicologi dell’Asl per valutare se qualcuno ha bisogno di supporto. Agli Innocenti è tutto bellissimo".