Firenze, 25 ottobre 2024 – Umberto Della Nave ha lottato fino alla fine. Procurando al suo assassino molteplici lividi su petto e costato. E, con molte probabilità, portandolo a ferirsi con il suo stesso coltello. A dirlo sono i periti che poche settimane fa, durante l’incidente probatorio davanti al gip Angelo Antonio Pezzuti, hanno illustrato i risultati degli esami svolti sul luogo del delitto e sul corpo dei due anziani, Umberto (84 anni) e la moglie Dina Del Lungo (81 anni), uccisi il 5 dicembre scorso nel loro terratetto a Osteria Nuova (Bagno a Ripoli). Si complica quindi la posizione del presunto assassino Antonino La Scala – difeso dall’avvocato Tiziana Barillaro –, i cui brandelli di carne sono stati rinvenuti sotto le unghie di Della Nave. La colluttazione tra i due, secondo gli atti, è stata molto violenta, ed è culminata con un accoltellamento all’altezza del collo, che ha provocato la morte dell’anziano. I segni dei colpi di La Scala sono tanti e parzialmente visibili sul corpo dell’uomo che, insieme a quello della moglie, non è stato totalmente carbonizzato dall’incendio appiccato dallo stesso La Scala per nascondere le tracce (e che inizialmente si pensava essere la causa del decesso della coppia).
Tolta la vita a Della Nave, il 46 anni di origini calabresi si sarebbe fiondato sulla moglie, strangolandola da dietro con un foulard. Poi ha dato alle fiamme, da sotto e con l’aiuto di un “liquido infiammabile”, le due poltrone elettriche con sopra i corpi dei coniugi. Perché tanta ferocia? Stando a quanto ricostruito, La Scala non avrebbe così dovuto restituire la somma che era riuscito ad ottenere in prestito dall’ex commerciante di sementi, approfittando della sua bontà e della sua disponibilità economica. Senza contare che il 5 dicembre scorso l’uomo avrebbe anche tentato il colpo grosso: rubare altro denaro o i valori della moglie. La Scala, già noto alle forze dell’ordine di Bagno a Ripoli, ha inoltre alcuni precedenti penali: nel 2019, è stato uno degli arrestati nell’ambito dell’operazione “Sabbia“, un’inchiesta che ha messo in luce un traffico di droga che coinvolgeva albanesi e soggetti contigui alla ’ndrangheta.
Tante, troppe, però le traccie lasciate sul luogo del delitto e conservate addosso. Ai periti, infatti, è stato rivolto un quesito sul materiale ematico rinvenuto in casa dei Della Nave e nella rimessa sul retro, e sui vestiti di La Scala. Tutti i campioni hanno evidenziato la presenza del sangue sia dell’anziano sia del 46enne calabrese. Un altro quesito ha mirato invece a identificare ulteriori “macchie” riscontrate sempre sugli abiti del presunto assassino. Il risultato? Il match è avvenuto con le particelle delle sostanze “acceleranti” del fuoco, cioè benzina e similari. Conferma, secondo l’accusa, che sia stato La Scala ha innescare l’incendio nella villetta.
Senza risposta, o meglio, risposta “impossibilitata” al terzo quesito sui video delle videocamere presenti nella proprietà della coppia. I filmati, che avrebbero ripreso i momenti dell’aggressione e dell’uccisione della donna, sono andati persi durante l’incendio. Mentre sembra aver dato una svolta alle indagine nell’immediato dei fatti, la videocamera presente nel salone di parrucchiere poco distante dalla casa dei coniugi. Se la procura di Firenze ha notificato la chiusura delle indagini, la difesa di Antonino La Scala ha incaricato la genetista Marina Baldi e il criminologo e criminalista Nicola Caprioli per una consulenza di parte.