Se il render conto ai lettori delle recenti produzioni del teatro francese dovesse restringersi ad una magra rassegna che per molti di essi non sarebbe né nuova né necessaria, noi avremmo scelto meglio di non pigliare la penna, tanto umile ci sembra e indegno di chi, si compiace di leggerci un simil fare. (…) Per ragioni facilissime a comprendersi, oggi più di prima, si sentono in Italia le influenze non sempre nocive del genio francese. Però se queste influenze contemporanee in diversi rami dello scibile o della letteratura sono accettabili, per ciò che riguarda la drammatica richiedono invero una cautela, non mai abbastanza riguardosa. (…)
In Francia le idee estetiche hanno subito diverse e rapide trasformazioni talora opposte stranamente fra loro, mediante una discussione ora nobile e sonora, ora appassionata e superficiale, però sempre continua o crescente dalla restaurazione al dì d’oggi. In Italia invece la questione estetica (chiamiamola così) si arrestò quasi alla sola lettera di Alessandro Manzoni sull’unità di tempo e di luogo nella tragedia; o almeno il suo lavorio non fu tanto ostinato né tanto potente quale altrove. (…)
Non occorre ripetere che le eccezioni vi sono e splendide e classiche anche, come non interrotta protesta del buon gusto, della logica o del senso comune contro quest’invasione barbarica che guadagnò o guadagna sempre più al giorno d’oggi le scene francesi. Ma dei campioni dell’arte vera, per accennare di alcuni, taluno (Scribe) non vive più; tal altro (Feuillet) o piega involontariamente allo tendenze corrotte del secolo, o, varcata quell’età in cui la creazione è, sto per dire, un bisogno, sentesi già stanco della lotta sostenuta. (...)
I nostri autori drammatici amano troppo dipingere l’eccezione, o darle un’importanza maggiore di quella che abbia nel reale. Indi soggiungeva che trovandosi le cose in tale stato, noi avremmo dovuto scrivere con esitanza quest’altre parole: in Francia più che in ogni altro paese: la società è ammalata profondamente, e il teatro n’è, per così dire, il polsimetro (…).
Osservate il teatro durante la rappresentazione di uno di questi lavori più applauditi. Se tien la scena una donna amabile, occupata a fare al suo sposo ragionamenti tali che il marito più pacifico dovrebbe, con buon diritto, farla saltare dalla finestra senza attendere altre spiegazioni, e allora sono precisamente i mariti quelli che gridano bravo colla più grande convinzione. (…)
Noi confessiamo che tali disposizioni del pubblico ci spaventano più che non facciano insieme tutte le altro cose. Nulla segna così bene il grado dello inclinazioni d’una società, quanto i costumi che essa soffre o ricerca al teatro, anche quando questi non siano effettivamente i propri. Dietro tali segni possiamo affermare con sicurezza che il carattere nazionale subisce in questo momento un’alterazione sensibile. La causa senza dubbio è più in su che nel teatro, ma è il teatro che ci dimostra apertamente gli effetti che essa ha prodotti, e ci consente apprezzarli. (...)
Qual meraviglia non proverebbe Racine, tornando al mondo, nello scorgere in Francia così strano spettacolo? (…) rimarrebbe al certo mortificato e confuso in veder Beaumarchais, stare in forse se dovesse scrivere il suo Barbiere in francese o in ispagnuolo per non recare offesa alla verosimiglianza, o perdersi in ridicole minuzie di secondario o di nessuno interesse: in vedere il signor Girardin introdurre nelle Deue Soeurs l’inutile personaggio d’una anglomane, perché la scena (uno stabilimento di bagni,) ricavasse, nel suo modo di pensare, un più verosimile colorito. (...)
La fotografia! ecco il teatro moderno. Immagini vere, ma sbiadite, somiglianti più a cadaveri imbalsamati che ad animati personaggi. Talora la vita senza l’arte, e più spesso l’arte senza la vita!