L’ultimo trionfatore di casa nostra sulle strade francesi è stato Gastone Nencini, che nel ’60 arrivò a Parigi in giallo accolto dai complimenti di Charles De Gaulle, che da vero signore qual era mascherò la delusione per la sconfitta dei suoi connazionali; il primo, invece, è stato Ginettaccio da Ponte a Ema, nel ’38, capace dieci anni dopo di compiere il bis, entrato anche nella leggenda della politica italiana per aver pacificato un Paese in fibrillazione dopo l’attentato al leader comunista Palmiro Togliatti. A proposito di toscani, in quella formazione in cui l’ultimo dei gregari era più forte dei capitani francesi, c’erano anche Giovanni Corrieri, messinese di nascita, pratese per scelta, fedelissimo di Bartali, e Vittorio Magni da Fucecchio, nella squadra Cadetti, da non confondere con il più noto Fiorenzo. Che il Tour de France, la corsa più importante del calendario mondiale, potesse partire da Firenze era comunque impensabile a quei tempi.
Qualcosa ha iniziato a muoversi nel 2013, quando iniziarono a circolare le prime voci in occasione dei Mondiali di ciclismo, vinti poi dal portoghese Rui Costa, soltanto omonimo del fantasista viola, che beffò in volata due spagnoli davanti al Mandela. È nell’anno successivo, centenario della nascita di Bartali, che Firenze e la Toscana tentano l’affondo per coronare il sogno, anche allora in collaborazione con l’Emilia Romagna. I contatti parevano ben avviati, quando arrivò la doccia gelata. Tutto, come sempre, per una questione di soldi, con le sterline che ebbero la meglio sugli euro. Il Tour De France 2014 (edizione numero 101) partì dall’Inghilterra, patria di Bradley Wiggins, che aveva vinto l’anno precedente. La partenza (la seconda nella storia della corsa dalla Gran Bretagna, dopo il debutto di Londra nel 2007) avvenne dalla città di Leeds nella Contea dello Yorkshir il 5 luglio, e la Grande Boucle prima di approdare in Francia, disputò l’ultima frazione sul territorio inglese con arrivo a Londra. Oltre a Firenze, in quell’occasione, c’era anche un’altra candidatura, quella scozzese di Edimburgo. Gli sportivi e gli appassionati di ciclismo si sentirono un po’ presi in giro, ma i soldi in più messi sul tavolo fecero la differenza, come temeva ed aveva anticipato l’allora vicesindaco Dario Nardella, che assieme ad Andrea Bartali, figlio del grande campione, aveva tenuto i contatti con il direttore della corsa francese Christian Prudhomme. L’offerta (4 milioni di euro), c’era stata, ma gli inglesi ne avevano messo sul piatto uno in più e nulla contarono altri aspetti, altri valori e meriti, di storia di cultura. Sarebbero stati tre giorni intensi, stupendi, per le bellezze naturali e artistiche che Firenze ed altre località coinvolte avrebbero offerto. Ci sono voluti altri dieci perché il tutto si potesse concretizzare, fra meno di due mesi con il primo Grand Depart dall’Italia nella storia del Tour de France proprio da Firenze, ’tradita’ dalla scelta inglese nel 2014.
La città del ciclismo si è potuta consolare negli ultimi vent’anni con la settimana dei Mondiali, nel 2013, e due arrivi di tappa, la cronometro del 2005, con partenza il giorno successivo per Ravenna da Ponte a Ema, davanti al Museo del ciclismo e alla casa natale di Gino Bartali, e le frazioni in linea del 2009 e del 2013. Ultimo passaggio nel 2021, nella tappa da Siena a Bagno di Romagna, con il gruppo che transitò da Ponte a Ema, per rendere omaggio ancora una volta a Ginettaccio, e da Sesto, dove era stato posto il traguardo volante dedicato alla memoria di Alfredo Martini, già ottimo corridore, ma soprattutto il ct più amato e vittorioso della nazionale di ciclismo.
Duccio Moschella