Attacco al Consolato. L’arrestato dal giudice: "Stavolta parlerà". L’accusa è terrorismo

Domani mattina l’udienza di convalida del fermo scattato sabato. Contro di lui prove "plurime e convergenti" e l’ipotesi di un complice. La famiglia spera che il ventiduenne possa essere scarcerato.

Attacco al Consolato. L’arrestato dal giudice: "Stavolta parlerà". L’accusa è terrorismo

Attacco al Consolato. L’arrestato dal giudice: "Stavolta parlerà". L’accusa è terrorismo

FIRENZE

Domani mattina, il 22enne Dani Hakam Taleb Moh’d comparirà davanti al giudice, Angelo Antonio Pezzuti, per l’interrogatorio di convalida del fermo scattato sabato nei confronti del giovane ritenuto ideatore ed esecutore dell’attacco con le bottiglie molotov avvenuto la notte del 1 febbraio verso il Consolato americano di lungarno Vespucci, e della successiva rivendicazione inviata il giorno successivo, un video in cui veniva inneggiato e sostenuto Hamas.

Ma più che i tecnicismi legati alla conferma o meno del provvedimento emesso dai pm della Dda, Luca Tescaroli e Lorenzo Gestri, c’è curiosità rispetto alla misura cautelare che verrà applicata. Il giovane, nato in Italia da genitori palestinesi, è accusato di terrorismo e porto abusivo di armi da guerra. Contestazioni pesantissime, supportate per altro da elementi probatori che gli inquirenti definiscono "plurimi e convergenti" sia in ordine al lancio delle due bottiglie, sia relativi alla realizzazione del filmato di rivendicazione firmato “The whole world is Hamas“ (Il mondo intero è Hamas): il decreto di fermo è puntellato da accertamenti tecnici quasi granitici. Però Dani ha l’occasione di fornire la sua posizione, se deciderà di rispondere (sabato è rimasto in silenzio). Si vocifera che sia intenzionato a rispondere. E’ giovane, non ha precedenti penali, ha un lavoro con il quale contribuisce al sostegno anche del resto della sua famiglia.

Famiglia che si è messa a disposizione dell’autorità giudiziaria, affinché venga accertato che l’iniziativa del giovane è figlia di un impeto legato al dramma che le popolazioni della Palestina - la terra di cui sono originari i suoi genitori - stanno vivendo, un’azione scollegata dai gruppi terroristici con cui non avrebbe alcun contatto.

Indiscutibilmente, però, l’attacco al consolato Usa, le parole proferite nel video, dimostrano una radicalizzazione che, seppure figlia di internet, non può essere presa sotto gamba. Che la struttura dell’“autodidatta“ dell’antisionismo non sia quella di un vero terrorista, lo si desume anche dalle numerose ingenuità che hanno permesso agli inquirenti di carabinieri e digos di risalire in poche ore a lui.

Numerose telecamere tra via Solferino (dove ha alloggiato per due notti, come unico ospite di un B&B) e via Palestro, inquadrano (anche durante il lancio delle bottiglie incendiarie) un soggetto con un giubbotto di colore nero identico a quello che è stato trovato nell’abitazione di Dicomano. Gli accertamenti della polposta hanno certificato che la rivendicazione è partita da un apparecchio connesso alla rete internet della struttura ricettiva di via Solferino; il suo smartphone ha agganciato le celle della zona del consolato nei minuti dei lanci, avvenuti alle 3.29 di giovedì 1 febbraio. Sempre nel suo dispositivo il video della rivendicazione con una data di creazione anteriore all’invio ai media. Le indagini proseguono: c’è da capire se abbia avuto almeno un complice. Venti minuti prima dei lanci, ha fatto una telefonata.

ste.bro.