LISA CIARDI
Cronaca

Attentati a Parigi: "Papà, qui ci sparano addosso"

Telefonata di una ragazza fiorentina e delle sue amiche dal ristorante della strage. "L’inferno tra noi"

Lisa Palanti ed Eleonora Talli

Lisa Palanti ed Eleonora Talli

Parigi, 15 novembre 2015 - «Babbo, un pazzo ci spara addosso con il mitra. Siamo chiuse in bagno. Al ristorante». Poche parole per gettare tre famiglie nell’inferno più nero. Poche parole arrivate via cellulare, intorno alle 22 di venerdì, dritte da Parigi, ai genitori di tre ragazze della provincia di Firenze finite per caso nel bel mezzo della tragedia. Lisa Palanti ed Eleonora Talli, entrambe 20 anni, amiche inseparabili di Malmantile, piccolo paese arrampicato sulle colline di Lastra a Signa, erano partite giovedì per una vacanza nella Ville Lumiere. Erano andate a trovare un’altra giovane fiorentina, Claudia, 22 anni, che da qualche anno vive e lavora a Parigi. Per loro, le tappe classiche: la visita al Louvre, la foto alla Gioconda, quelle davanti alla Tour Eiffel e all’Arco di Trionfo. Poi, venerdì sera, il tuffo nel terrore, al ristorante La Belle Equipe, sull’undicesimo arrondissement.

«Eravamo stanche – racconta Lisa Palanti – e abbiamo pensato di fermarci in un ristorante vicino a casa. Il tempo di entrare, sedersi e ordinare. Poi è iniziato l’inferno. Eravamo sedute proprio accanto alla vetrata e improvvisamente abbiamo sentito alcuni colpi e notato delle scintille. Pensavamo a dei petardi, ma un istante dopo le persone sedute all’esterno della vetrata, proprio davanti a noi, si sono accasciate a terra. Un’altra frazione di secondo e una raffica di mitraglietta è arrivata dritta alla nostra vetrata». Attimi. Durante i quali l’istinto ha avuto il sopravvento sulla paura, facendo la differenza fra la vita e la morte. «Non sappiamo bene come – racconta ancora Lisa – ma io ed Eleonora ci siamo trovate in bagno. Ci siamo arrivate con le nostre gambe, ma non so in che modo. Abbiamo invece perso di vista Claudia e abbiamo temuto il peggio». Poi la fuga in un secondo bagno, al piano superiore, dove le tre ragazze, nuovamente insieme, si sono chiuse a chiave. Da qui hanno chiamato le famiglie con i cellulari. «Da casa hanno cercato di tranquillizzarci – raccontano – ma non era facile. Mentre raggiungevamo il bagno avevamo visto uomini e donne a terra coperti di sangue, persone con ferite aperte e ossa esposte. Molti dei clienti che erano seduti vicino a noi, accanto alla vetrata, erano gravissimi. Una scena che non potremo mai dimenticare. Continuavamo intanto a sentire urla e spari. Chiuse nel bagno, pensavamo che venissero a ucciderci». 

Invece, dopo un tempo indefinibile ma comunque infinito, è arrivata la polizia, che ha portato i feriti lievi e gli illesi in un teatro vicino. «Siamo rimasti chiusi lì diverse ore – racconta ancora Lisa – e siamo stati medicati, schedati e assistiti. Ci hanno portato anche i caricabatterie per i cellulari, per assicurarci il contatto con le famiglie». Poi, intorno alle 2.30, il via libera. «Eravamo terrorizzate – spiegano – e saremmo rimaste volentieri con la polizia, ma ci hanno detto che non era possibile. Così, dato che la casa di Claudia era nel perimetro degli attentati, siamo andate da un’amica». Quindi, ieri, il rientro a casa delle tre amiche. Alle 19, l’atterraggio all’aeroporto fiorentino di Peretola e l’abbraccio liberatorio ai genitori. «Abbiamo delle ferite al volto e a una gamba provocate dai vetri frantumati sotto il fuoco della mitraglietta. Ma guardiamo la borsa di Eleonora, passata da una parte all’altra da un proiettile. E ci rendiamo conto di quanto sia miracoloso essere sopravvissute».