LUCA
Cronaca

“Augurio“, in difesa del pensiero. L’invito a non asservirsi ai regimi dedicato a scienziati e artisti. Affresco dell’Italia ancora in guerra

Eugenio Montale scriveva articoli di fondo e commenti per "La Nazione del Popolo" nel Paese diviso. Nell’articolo del 19-20 settembre del 1944 il monito a evitare gli sfruttamenti dell’uomo verso i suoi simili.

“Augurio“, in difesa del pensiero. L’invito a non asservirsi ai regimi dedicato a scienziati e artisti. Affresco dell’Italia ancora in guerra

Il premio Nobel Eugenio Montale ha scritto per «La Nazione del Popolo»,. quando il quotidiano era organo del CLN toscano

È un augurio, non un manifesto, o forse un invito. Vorremmo che l’arte e la scienza italiane, nei loro limiti particolari e assai variabili abbandonando ogni sospetto agnosticismo dimettessero infine l’abitudine di legare il cane dove vuole il padrone del momento e tornassero a servire liberamente quelle insopprimibili forze morali e materiali, economiche ed etiche, che dovranno pur fare, prima o poi, del nostro continente un’unione federale di liberi stati, di liberi lavoratori.

Si badi: servire, nel senso di rendersi utili, non già in quello di asservirsi; e rendersi utili libera- mente, senza venir meno, cioè, a quel tanto di fortunoso, d’imprevedibile e di contingente ch’è il sigillo umano dell’arte e del pensiero. In verità a nessuno è difficile intuire che l’arte e la scienza, diverse e forse opposte per natura, si risolvono, in ultima analisi, in un comune principio d’ordine formale, ritmico, stilistico.

Ma difficile è determinare teoreticamente come si attui questo principio, in cui necessità è gratuita, volto della storia e volto dell’uomo, sembrano insidiarsi e compromettersi a vicenda, confermando così quell’autentica stravaganza ch’è l’attività universale del singolo, l’infinità dell’individuo limitato. Esiste un’arte che nasce col calore e l’immediatezza del documento; solo più tardi i posteri riescono a decantarla, a spogliarla e a coglierne lo stile ed esiste invece un’arte che nasce già sigillata, imbalsamata, perietta, un’arte in cui solo dopo molti anni ci è possibile riconoscere un aspetto umano. Non meno strana la via delle scienze, in ispecie di quelle fisiche e matematiche (così somiglianti alla poesia); nelle quali si confondono e si condizionano, in una serie imprevedibile, il genio, e la routine, la scintilla creatrice e l’applicazione materiale e utilitaria.

Ma dubbi o constatazioni di questo genere – ed è forse inutile rilevarlo – poco o punto possono limitare l’attività dell’artista e dello scienziato: poco o punto possono farci dubitare della nostra esperienza diretta che arte e scienza intanto valgono, oggi, in quanto in esse e per esse si esprime in noi una forza superiore a noi stessi.

Non è già questa quell’irrazionale oscuro, quel furore di attività con cui il nazifascismo e le sue manifestazioni pseudo-culturali (degenerazione dell’idealismo in filosofia) hanno voluto crearsi un alibi e una bandiera. È essa, semplicemente, la vecchia battaglia del bene col male, la lotta delle forze divine che combattono in noi con le forze scatenate dell’uomo bestiale, con le buie forze di Arimane. In noi e per noi si realizza così una divinità, terrestre dapprima e poi forse celeste e incomprensibile ai nostri sensi, che senza di noi non potrebbe formarsi e riconoscersi. E per essa noi dobbiamo semplicemente dir di no a tutti gli sfruttamenti dell’uomo da parte dell’uomo, a tutte le lusinghe di una reazione mascherata di culto dell’ordine e di ritorno all’antico, a tutte le certezze troppo facili e unilaterali suggerite dal tornaconto immediato. Dir di no, semplicemente: far sì che da noi non sia più possibile, su vasta scala, il tradimento degli intellettuali. Ricordate il famoso manifesto che fu firmato, quasi vent’anni fa, da un imponente numero di studiosi e artisti italiani?

Di questi, dopo pochi anni, ben pochi rimasero a tener fede, a fare onore alla loro firma. Gli altri, i più – girarono, come fa in autunno il vino debole. – Bisogna che un fatto simile non possa ripetersi, in Italia. Bisogna che gl’intellettuali italiani, fin che ogni pericolo non sia sventato, non dipartano più da un’intransigenza che noi vorremmo addirittura manichea nel campo dei valori morali, e da una posizione che nel campo dell’arte augureremmo realistica nel metodo e nelle forme, ma di significato essenziale e persino esistenziale nel senso ultimo o nel soprasenso.

Di là da quest’atteggiamento, non prima, si potrà costruire, allargarsi, tentare nuove vie, dimenticar l’incubo, se sarà possibile. Nella guerra che sta, forse per finire – almeno nei suoi vasti episodi guerreggiati e non già nel suo spirito ch’è di guerra rivoluzionaria e civile, intercontinentale – a noi italiani fu relativamente facile orientarci fin dall’inizio.